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L’Olocausto e l’immagine di demagogia e ipocrisia

Opinionista: 

Gentile Direttore, in questi giorni sto leggendo ed ascoltando dai vari mass-media tante opinioni, critiche e non, sull’immane tragedia che colpì il popolo ebreo durante il Nazismo. Le occasioni più recenti per parlare dell’Olocausto sono state la scelta di astenersi dal voto da parte del centrodestra in Senato per istituire una commissione straordinaria, proposta dalla senatrice a vita Liliana Segre,  per il contrasto del fenomeno di intolleranza e razzismo, e, più localmente, la scelta del sindaco de Magistris di sostituire il bravo Nino Daniele, assessore alla Cultura di Napoli, con la giovanissima Eleonora De Majo, alla quale viene  addebitata l’“accusa” di essersi schierata nel passato su posizioni anti-Israele. Due episodi, uno di portata nazionale, l’altro più “locale”, figli della stessa sfaccettatura di un’identica medaglia: quella che mostra tutta l’immagine della demagogia e dell’ipocrisia ormai imperante molto più dei tempi andati. Eppure, si afferma sempre che la Storia dovrebbe essere scritta non dai vincitori, perché di parte (pensiamo ai primordi dei primi insediamenti europei, dove i “cattivi” pellerossa americani che scotennavano i “poveri” coloni, per lo più provenienti dalle patrie galere delle Nazioni nord-occidentali della vecchia Europa,  si erano  permessi di proteggere i propri territori di caccia per sopravvivere!), e, soprattutto, dovrebbe essere scritta a distanza di anni, se non di secoli, rispetto all’attualità degli avvenimenti, “figli” dell’emotività e dei sentimenti di chi vi ha preso parte. Sembra, invece, che per il popolo ebreo queste elementari regole non esistano, anzi! A 70 anni dal Nazismo, dopo il Processo di Norimberga (figlio anch’esso dell’emotività del momento ), sembra che la tragedia dei campi di concentramento di  Auschwitz, Buchenwald, Dachau, Mauthausen, Treblinka, Birkenau, sia una “memoria perduta”, tanto da alimentare in taluni  ancora sospetti che non siano stati campi di sterminio. E il rigurgito antisemita che attraversa gran parte del nostro “Vecchio” Continente sta aumentando a dismisura, costituendo una specie di collante, soprattutto per i giovani e giovanissimi. Noi “anziani”, che non abbiamo vissuto dal vivo la tremenda II guerra mondiale, ma che abbiamo saputo dal vivo dai nostri padri, miracolosamente scampati ai 55 milioni di morti che la “guerra totale” causò, le nefandezze provocate, abbiamo il dovere non solo di mantenere “viva” la memoria, ma di prodigarci, per quel che si può, a trasmettere ai figli e nipoti l’educazione del ripudio non solo della  guerra, come recita l’art. 11 della Costituzione, ma anche a soffermarci su  quanto ci viene dal “monito” dell’art.3 (discriminazione razziale). Mentre sto scrivendo, Direttore, il mio primo nipote di 14 anni, studente del V Ginnasio del glorioso Liceo Vittorio Emanuele-Garibaldi, è in visita con altri compagni vincitori di una borsa di studio, ad Auschwitz e poi Birkenau per osservare dal vivo ciò che può produrre l’odio razziale. Egli sa del mio pensiero sull’Olocausto e mi sta inviando foto a ripetizione di quei campi di morte, non di concentramento, come si volevano far intendere. Poiché mi sforzo, per antica tradizione familiare e per educazione formata da severi studi, di essere un “moderato”, mai estremista, sia di pensiero, che di azione, devo affermare che non tutto “quadra”, però, quando parliamo della “giornata della memoria” .  Anche se in numero inferiore (la morte per mano del proprio simile  non deve essere quantificata per rappresentarla nella forma più  raccapricciante), non si possono sottacere le vittime  delle Foibe, troppo a lungo “dimenticate”, perché di matrice “comunista” Titine (oggi al 27 gennaio per il ricordo della Shoah, si è aggiunto il 10 febbraio per le Foibe, come “giorno del ricordo”), così come le vittime delle ferocie di tutti i dittatori, a cominciare dal “prima osannato, poi, “scomunicato” Stalin. Non dobbiamo, perciò, essere “vittime ed allo stesso tempo protagonisti” di un pensiero unilaterale: le persecuzioni e le morti procurate per motivi razziali sono  ancora più atroci di quelle avvenute a seguito di altri accadimenti naturali o azioni delinquenziali (si pensi alla strage di Capaci). Là dove l’odio e l’orrore hanno la meglio sull’umanità è sempre giusto fermarsi a riflettere e a ricordare. Ritornando al più “nostrano” motivo del contendere, comunque, mi sembra fuorviante la forte critica che si è abbattuta sulla neo-assessora alla cultura De Majo, “accusata” di antisemitismo “tout-court”. Se il suo antisemitismo scaturisce dal desiderio di volere uno Stato anche per i Palestinesi, non credo ci siano critiche che tengano; se è, invece, un sentimento anti-ebraico, allora, sì, che siamo al razzismo puro! Non conosco il vero pensiero della giovane assessora; so che proviene dai “Centri Sociali”; ma anche qui peccheremo di razzismo se li consideriamo “Centri di faziosità e odio”. Ben vengano, invece, luoghi di aggregazione, specie giovanile, perché più facilmente controllabili ed individuabili per il rispetto della legalità, in luogo  dei  “cavalieri solitari” o “clandestini” (non perdiamo, proprio noi, la “ memoria” dei Nar e delle Brigate Rosse!). Io mi soffermerei, invece, sull’azione delicata che l’assessora dovrà affrontare: quella di occupare una delle caselle più importanti della Giunta Comunale, l’Assessorato alla Cultura, biglietto da visita di una città straordinaria e tormentata come Napoli; tra l’altro con un fardello pesante sulle spalle: essere l’erede di uno dei migliori assessori che Napoli abbia avuto nella sua storia, il validissimo Nino Daniele.