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Medici uccisi dal virus, borse di studio per i figli

Opinionista: 

Lunedì scorso il rituale della consegna dell’attestato con il premier Conte nella sede della Protezione civile per un omaggio; il 27 dicembre la cerimonia per le onorificenze dell’Ordine al merito della Repubblica per l’impegno contro il Covid. Poco più, dunque, che una simbolica “mancia”, al netto delle parole spese per sottolineare dedizione, professionalità, altruismo e coraggio. Un riconoscimento un po’ striminzito per premiare, o almeno evidenziare marcatamente, la task force di medici e infermieri volontari (rispettivamente 8mila e 9.500 unità) che hanno visto morire tantissimi familiari e salvato centinaia e centinaia di vite umane. E del “cuore dell’Italia” fa parte appieno il Cotugno, un altro ospedale in trincea, dove martedì si è recato il sindaco de Magistris. Eroi schivi, senza se e senza ma, angeli della porta accanto. Baluardi contro il virus killer. Uomini e donne di ferro, di coscienza. «In ogni millimetro cubo di aria delle stanze - ha ricordato uno di loro - si respirava aria di morte, ma loro erano lì a combattere una battaglia impari, fieri di poter far qualcosa per questi malati». Era il 9 marzo, quell’immagine fa il giro del mondo e sarà consegnata alla storia: un’infermiera cremonese, stremata, riposa qualche minuto con la testa appoggiata su un lenzuolo, piegato e poggiato su una scrivania davanti al computer. Il tempo necessario per recuperare spiccioli di energie e tornare in prima linea, a combattere il Coronavirus. Sanità disarmata, inizialmente gli operatori sono senza dispositivi di protezione. All’ospedale San Paolo di Fuorigrotta, i medici usano i panni antipolvere come mascherina. Virologi, biologi, infettivologi e epidemiologi: tutti impreparati, la scienza barcolla di fronte all’improvviso arrivo dell’“assassino invisibile” che disseminava migliaia di morti nel mondo. Non di rado offrono spettacoli indecenti, palesando invidia per il collega e azzuffandosi per il farmaco più “miracoloso”, per la primogenitura della eventuale scoperta di una cura. La politica tace, qui non si tratta di sparare palle su improbabili scenari e fondi europei o giocare al totoelezioni. Salta fuori solo qualche leader di partito che preme per la sperimentazione di questo o quel medicinale, “appartenente” in qualche modo al territorio di riferimento, che - anche in questa terribile pandemia - sottende e significa consensi. Nel totale marasma una sola diga: la “grande famiglia” di tecnici della salute (i professionisti sanitari assistenziali, come gli infermieri e gli anestesisti), operatori socio-sanitari e assistenziali, medici, ausiliari, portantini e barellieri. Lavorano con umiltà e determinazione, creano una equipe solida e professionale che ci invidiano all’estero. Dunque, attestati e onorificenze per i vivi. Forse per loro sarebbero più graditi premi in base all’intensità del rischio, magari a coloro già insigniti lo scorso 2 giugno dell’onorificenza di Cavaliere al merito della Repubblica. Un esempio su tutti, quello dei tre medici di famiglia di Padova che volontariamente si sono recati in piena zona rossa per sostituire i colleghi di Vo’ Euganeo messi in quarantena. Ma è in onore e in memoria delle decine di migliaia di deceduti che lo Stato - oltre ai sussidi delle istituzioni locali - potrebbe e dovrebbe andare oltre. Faccia un gesto altamente significativo, mostri un segno tangibile: un’idea potrebbe essere quella di consegnare borse di studio universitarie ai figli o ai nipoti di chi non c’è più. Può essere la cifra di chi mostra di aver capito qualcosa, l’essenza dei valori. Ah, poi c’è la Regione Campania, proprio oggi tiene una riunione sull’indennità Covid. Sul piatto dovrebbe esserci qualcosa di più corposo: il bonus pandemia in busta paga. Il governatore De Luca (per il vero ingabbiato nella rete dei decreti) ha sempre scandito tempi, criteri e cifre degli aiuti. In questo caso non si conoscono né gli uni né le altre.