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Napoli e Geolier: la gallina e l’uovo

Opinionista: 

Ho visitato spesso la galleria Trétriakov dedicata all’arte russa. Mostra di come la pittura sia un’espressione dell’ambiente della società e della sua evoluzione. Dai dipinti icone fino all’arte contemporanea passando per l’arte realista. Quando, a causa del comunismo la società russa ha vissuto un momento di stallo, anche l’arte si è bloccata. Se c’è una società veramente immobile, quella è la società napoletana. Si sente spesso dire che il Regno delle Due Sicilie era all’avanguardia sul piano economico e tecnico, e che il suo declino è stato colpa dell’Italia! È un fatto che al momento del suo ingresso nello stivale unificato, rappresentava ben il 66% delle finanze e possedeva anche la più grande industria navale e ferroviaria. È lì che era stato costruito il primo ponte sospeso in Europa; tuttavia, sul piano sociale era uno dei peggiori: la miseria regnava e nel 1860, il 90 % della popolazione era analfabeta. Ne troviamo testimonianza negli scritti di Alexandre Dumas (1863), di Matilde Serao (1904), e di Anna Maria Ortese (1953), a 100 anni di distanza, per citare solo alcuni degli esponenti della cultura che hanno analizzato Napoli dal punto di vista sociale. “I baroni e i ricchi sono duri con il popolo, come da tradizione, essi sono incoraggiati dagli ultimi re Borboni”, riassume laconicamente Alexandre Dumas, in qualità di direttore del giornale napoletano “L’Independente”. Ancora oggi il popolo deve accontentarsi di discorsi politici piuttosto che pretendere servizi a cui avrebbe diritto. Passare il week end in famiglia su una spiaggia della città resta ancora una cosa inaccessibile, dopo che Ortese l’avesse denunciato 71 anni fa. Se vi parlo del legame tra la società (la gallina) e le opere d’arte (le uova), che essa genera, è perché ho un amico con il quale mi sono intrattenuto a parlare del cantante rap Geolier, arrivato secondo al Festival di Sanremo. Giovanni vede in lui il depositario del genio artistico, nello specifico canoro, di cui Napoli vanta una lunga tradizione. Il titolo, che ne è anche il ritornello e il cuore del messaggio della canzone l’ha colpito: “I p’ me, tu p’ te”, mi ripete lui, cadenzando le sillabe tanto da farmi notare come l’allitterazione stessa sia portatrice di senso! Tutti conoscono gli elementi sociali che son alla base di capolavori creati nel passato: la sofferenza dell’esilio; la bellezza del paese, il sentimento di appartenere ad una comunità che come nessuna ti riscalda il cuore, e le umiliazioni subite all’estero…. Espresse in una lingua che non si capisce, e che non suona così musicale come l’italiano, le canzoni napoletane sono comunque riuscite a ad avere un respiro universale. Sembra addirittura che in Giappone, ci siano persone che riescano a cantare a memoria “O sole mio” in napoletano. Queste dimensioni non sono totalmente sparite, ma riflettiamo piuttosto su quali nuove molle sociali spinge Geolier nella sua canzone. Cominciamo col dire che non è il primo rapper della scuola napoletana del ventunesimo secolo: Franco Ricciardi, 16 anni fa, ha scritto l’acerba Cuore nero: “Simme tutte africane nuje napulitane”, così come le canzoni della serie tv Gomorra. Il concerto che ha tenuto a Scampia nel 2018 ha radunato ben 11mila spettatori entusiasti. Allo stesso modo “Liberato”, che ha fatto il tutto esaurito per tre sere di seguito a Piazza Plebiscito lo scorso settembre. Il film “‘A muzzarell”, di Diego Santangelo, mi sembra riflettere il contesto attuale della società, dove neanche l’emigrare è più una soluzione di riscatto dalla miseria come poteva essere in altri tempi. “Un viaggio di redenzione di due dodicenni persi nelle storture della società moderna”, ci dice il trailer. In una natura bellissima nei pressi di Bagnoli, si incontra una popolazione fatta di spacciatori, di uomini palestrati e pompati da steroidi, di donne sfigurate dalla chirurgia, per diventare più sexy, tutti ricoperti di tatuaggi. I due generi disoccupati e centrati su sé stessi, in assenza di prospettive: “I p’ me, tu p’ te”. Anche se resiste ancora un fondo d’umanità rintracciabile nell’amore tra i due bambini, e della madre per il suo proprio figlio, in questo popolo di reietti. “È di questo che si tratta”, spiega il giornalista: “Il rap è una spia, preziosa e fastidiosa, del fallimento delle nostre democrazie sul piano del divario economico e delle diseguaglianze culturali e di genere che si sono, in questi ultimi decenni, drammaticamente approfondite”. È certamente vero a Napoli dove è consuetudine maltrattare i poveri, ma questo è divenuto realtà anche in tutte le altre periferie. Se fosse stato solo il voto popolare a contare, Geolier sarebbe stato il vincitore del festival. Inoltre, lui ha venduto più dischi di chiunque nel paese…che è oggi composto da una maggioranza di abitanti delle periferie. Il mio amico Giovanni non si è sbagliato dicendo che, come i suoi illustri antenati, Geolier riesce a far vibrare corde ben più universali che quella di Scampia: quella dei diseredati, di coloro i quali sono stati lasciati ai margini dal sistema liberale. In Francia abbiamo avuto la crisi dei gilet gialli, che non sono altro che la conseguenza di questo lasciare indietro i più deboli!