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Napoli: un insieme di “corpi separati”

Opinionista: 

I colori ci dicono che -nonostante improvvisi sprazzi di sole da piena estate- stiamo andando di male in peggio, dall’arancione al rosso. Leviamo lo sguardo in alto e subito “risentiamo” Giuseppe Marotta quando ci diceva che “questo cielo non è fratello a nessuno”. Una “tempesta perfetta”: nuvole nere e gonfie grandi come città, la luminosità solare che si nasconde, le piogge che cadono giù improvvise con il fragore di “bombe d’acqua”, raffiche di vento di tramontana che scendono violente dal Vesuvio e spazzano ogni residuo di terrestre calore. Sono la schizofrenia meteorologica e la tropicalizzazione improvvisa a noi fino a qualche anno fa del tutto sconosciuta: così ci auto inganniamo sperando che al più presto gli anticicloni africani mettano in fuga i “confratelli” del nord Europa. Tutto avviene al di sopra delle nostre teste, ma non per questo smettiamo di attendere fiduciosamente un autunnale tempo “nuovo” e di sicura affidabilità.

*** Occhi a terra. E’ un dovere di incolumità e sopravvivenza guardarci intorno per vedere bene dove mettiamo i piedi e a quali rischi possiamo andare incontro. Le buche sì, ma quando di riempiono d’acqua si trasformano in pozzanghere melmose con gravi conseguenze per pedoni e automobilisti. Cadono, provocando vittime, alberi e pali della rete elettrica, però killer non è la natura bensì la gestione pubblica dei servizi (e San Giacomo, il “santo della speranza” cui è intitolato il palazzo del Comune, che fa, sta a guardare?). Lungo marciapiedi e carreggiate invadono spazi i cassonetti dei rifiuti che, non raccolti tempestivamente, diventano montagne (le famose “colline del disonore”). Capitolo trasporti (bus, funicolari e metrò): guasti improvvisi, corse saltate, turni di lavoro male organizzati, utenti assembrati e “lasciati a terra” alle pensiline e nelle stazioni. Linee della metropolitana: quale infelice ironia aver sempre sentito esaltare “le più belle e artistiche stazioni d’Europa” quando la loro resa ferroviaria e trasportistica è la peggiore? L’arte non dovrebbe avere la sua casa naturale nelle gallerie e nei musei? Perché Napoli deve sempre esibirsi come la città dove troppe cose non sono mai al posto giusto?

*** Galleria tormentone. È quella della Vittoria, un rettilineo lungo poco più di mezzo chilometro attraversato, ogni giorno, da almeno 30 mila veicoli. Il suo collegamento tra l’area del Molosiglio e l’incrocio che separa il Chiatamone con via Morelli verso piazza dei Martiri, troppo spesso si “frattura” per vari e gravi “accidenti”. Ora è di scena il cedimento delle lastre interne che coprono la volta, mentre permane la precarietà delle facciate d’ingresso malamente sorrette da ponteggi di ferro (contro un’impalcatura si è impattata di recente un’auto con conseguenze gravi). Inaugurata nel 1933, su progetto di Michele Guadagno, la Galleria era considerata l’opera urbana più importante d’Europa. Il suo nome doveva ricordare la battaglia di Lepanto in cui, nel 1571, gli Ottomani vennero sconfitti dalla Lega Santa. Il doveroso ricordo della storia non allevia il ricorrente disagio dei nostri giorni che rende più insistita la domanda “ma che fine hanno fatto i milioni di euro stanziati per una completa messa in sicurezza?

*** Lungomare tormentato. Prima “liberato” (ma da che cosa, si chiedeva ironicamente Giuseppe Galasso illustre storico e appassionato osservatore della città), e poi di nuovo occupato dalle auto che hanno ripreso -chiusa la Galleria della Vittoria- la corsa per via Pertenope e Nazario Sauro. Singolare vicenda: un tratto del lungomare tra i più belli al mondo, “liberato” il quale si è “imprigionata” quasi tutta la città bassa da Mergellina alla rotonda di Santa Lucia e via Acton. Per ridare un minimo di scorrevolezza al flusso veicolare è dovuta intervenire la Procura della Repubblica.

*** Il lanciafiamme non basta più. Il neo trionfante De Luca (“rientra” alla Regione da cui si sapeva che non sarebbe mai uscito), deve trovare altri strumenti per bloccare il virus che sta rendendo la Campania (465 le vittime) più contagiata della Lombardia. Ci si chiede sgomenti: a che servono le ordinanze e le deluchiane grida (dal sapore manzoniano) se le autorità preposte alla loro esecuzione non parlano, non vedono e non sentono? E’ difficile pensare a un futuro sostenibile se la città continua ad essere un corpo non unitario, ma formato da tante autorità che non trovano apprezzabili punti di convergenza nemmeno nelle contingenze più drammatiche.