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Occorre avere più Stato nella confusione generale

Opinionista: 

L’emergenza Covid ha messo in luce tutta la fragilità dell’attuale assetto istituzionale del nostro Paese con le Regioni, travolte da una inaspettata centralità, che hanno spesso assunto provvedimenti e decisioni in contrasto con quello che il Governo nazionale decideva e, dato rilevante, questo al di là di schieramenti e convenienze politiche. È capitato che lo stesso Bonaccini, presidente dell’Emilia Romagna targato Pd, attaccasse il Governo sostenuto dal suo stesso partito per non aver avuto una sufficiente interlocuzione con le regioni e un confronto preventivo su alcune scelte fatte dall’esecutivo. Oppure che De Luca, anch’egli del Pd, che addirittura si sia rifiutato di firmare l’accordo raggiunto tra Regioni e Stato sulle riaperture. Anche il presidente della regione Sardegna, Christian Solinas, sostenuto da una coalizione di centrodestra, si è distinto chiedendo a gran voce il passaporto sanitario per tutti quelli che, provenienti dalle altre regioni, volessero passare le vacanza in Sardegna creando un ostacolo alla libera circolazione delle persone che viola chiaramente un principio costituzionale. Regioni contro il Governo ma anche sindaci contro le regioni in un clima di tutti contro tutti che ha avuto come unico effetto il disorientamento dei cittadini e soprattutto di quelli che fanno impresa, che si sono dovuti districare tra una miriade di provvedimenti, spesso in contrasto tra loro, che sono stati di fatto un ulteriore ostacolo sulla via della ripresa. Dpcm, Ordinanze Regionali, Ordinanze Sindacali, protocolli governativi, regionali, un mare di carte prodotte dalle varie task force che ognuno, per non essere di meno degli altri, ha voluto nominare. Qualcuno ha provato a calcolare il numero di nuove norme emanate dall’inizio dell’emergenza, fermandosi a circa 250 provvedimenti statali, 400 regionali, e oltre 40mila comunali. La prima impressione che abbiamo ricavato da questa esperienza è che aver trasferito alle Regioni un servizio fondamentale come la sanità ha determinato forme di iniquità fra cittadini, perché i livelli essenziali di assistenza, i servizi e le attività che i cittadini avrebbero diritto ad ottenere con i medesimi standard qualitativi, sono rimasti un auspicio. Nell’emergenza sanitaria che abbiamo vissuto abbiamo visto come non c’è mai stato un unico indirizzo scientifico col risultato che abbiamo avuto 20 sistemi sanitari regionali completamente diversi che non hanno certamente aiutato a reagire tempestivamente e nel migliore dei modi alla minaccia coronavirus definendo ognuno azioni di contrasto differenti. Il risultato è stato che le capacità di risposta delle singole Regioni all’emergenza Covid-19 sono state differenti ed è abbastanza evidente che negli anni ai tagli di budget quasi ovunque c’è stata una diminuzione degli ospedali senza che nel contempo vi sia stato un potenziamento delle cure primarie e dell’assistenza territoriale. Il Sud, per tutta una serie di fattori indipendenti dai provvedimenti adottati dai governatori, non è stato interessato dalla pandemia nella misura in cui sono state interessate alcune regioni del Nord. Ma che cosa sarebbe accaduto se, per esempio, in Campania l’epidemia avesse avuto le dimensioni della Lombardia? Sarebbe stato un disastro perché è indubbio che il decentramento della sanità ha generato fra i diversi territori all’interno del Paese, un processo di divergenza economica e di differenza di budget per la spesa sanitaria alla quale si sono uniti anche i criteri di ripartizione del fonda nazionale che non hanno favorito le Regioni del Sud e tra queste la Campania. Quanto accaduto dovrebbe portare ad un ripensamento generale sul processo di autonomia differenziata che se portato avanti, come sembrava che anche questo Governo prima che scoppiasse la pandemia volesse fare, può solo creare disparità e diseguaglianze sociali che, inevitabilmente, diventerebbero l’anticamera della disgregazione dello Stato unitario. Mi pare evidente, del resto, che se le risorse nazionali da trasferire alle Regioni per le materie per le quali si chiede l’autonomia saranno parametrate, dopo un primo anno di transizione, a fabbisogni standard calcolati tenendo conto anche del gettito fiscale regionale, significherà stabilire un principio estremamente rilevante e, cioè, che i diritti dei cittadini, a cominciare da istruzione e salute, possono essere diversi, per qualità, fra i cittadini italiani. Direi che alla luce della confusione generale con la quale si sono mossi in questi mesi i diversi livelli istituzionali, diventa addirittura necessario avere più Stato. Poter contare, cioè, su una guida capace di governare con una visione unitaria su tutto il territorio nazionale rafforzando il sistema degli enti locali, che per loro natura e mission aiutano ad intercettare le esigenze dei cittadini per poi tradurle in azioni concrete che tengono conto delle specificità e delle caratteristiche dei singoli territori. In Italia, purtroppo, è stata la prima volta che il nostro sistema decentrato è stato realmente messo alla prova da un’emergenza e la leale collaborazione e cooperazione tra livelli di governo non ha funzionato. Facciamo tesoro di questa esperienza. Abbiamo pagato un eccessivo protagonismo di alcuni personaggi della politica e un inesistente coordinamento tra Stato centrale, Regioni e Enti locali, dove ognuno ha sperimentato politiche diverse e con l’aggravante che il nostro sistema non ha ancora fissato i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti uguali su tutto il territorio nazionale. Continuo a pensare che l’autonomia differenziata regionale, così come richiesta da alcune Regioni, potrebbe modificare profondamente le modalità di funzionamento del paese e la capacità di rispondere ai bisogni della gente, parcellizzando alcuni fondamentali servizi pubblici e determinando diversi diritti di cittadinanza semplicemente in base alla residenza.