Accessibilità:
-A A +A
Print Friendly, PDF & Email

Ora basta rinviare, Draghi usi le forbici

Opinionista: 

Tagli. È la parola con cui dovremo tornare a fare i conti. E prima lo faremo, meglio sarà per tutti. La ragione è presto detta: se vorremo sostenere nei prossimi anni ritmi di crescita importanti, dovremo per forza tagliare la spesa pubblica improduttiva. A meno che non preferiate un ulteriore aumento delle tasse. Sempre con i tagli dovremo fare i conti se vorremo finanziare una riforma degli ammortizzatori sociali (e della formazione) che ampli le protezioni a tutti i lavoratori, rafforzando le misure - in primis Cassa integrazione e contratti di solidarietà - decisive per proteggere il lavoro nella grande trasformazione che ci attende. Con la pandemia il finanziamento della spesa attraverso il debito è diventata la regola. È stato giusto (e inevitabile) per superare il picco peggiore della crisi, ma a fine anno il nostro indebitamento raggiungerà il livello record del 160% del Pil. Questa dinamica andrà invertita. Chi s’illude di risolvere i problemi limitandosi a un riequilibrio della pressione fiscale, riducendo le tasse sul lavoro e aumentando quelle sulla rendita, non ha capito nulla. Con il Covid sono cambiati tutti gli ordini di grandezza. L’Italia è chiamata a fare in poco tempo quello che ha ostinatamente rifiutato di fare per 30 anni. Dunque avremo bisogno di un’ingente massa di risorse, non di spostare qualcosa da una posta all’altra in un gioco che si rivelerebbe a somma zero o quasi. Occorrono tagli strutturali e ingenti. Come fare, mentre si staglia all’orizzonte la necessità di sostenere il reddito di tanti lavoratori a rischio licenziamento? Draghi deve mettere mano alle forbici. Il Governo lo sa e ha programmato tre anni di spending review tra il 2023 e il 2025. Invece bisogna iniziare subito e colpire con decisione la spesa improduttiva che si nasconde tra i mille rivoli del bilancio pubblico. Quello statale e delle Regioni. Sono essenzialmente tre le mosse da impostare. Iniziamo dalle leggi bandiera: Reddito di cittadinanza, Quota 100 e 80 euro. Si tratta di misure che generano una spesa cumulata di circa 20 miliardi senza un impatto vero sul Pil e senza aiutare chi si trova realmente in difficoltà. Quota 100 manda in pensione i 62enni, per lo più impiegati statali, e penalizza i giovani che ne dovranno pagare il costo. Gli 80 euro vanno a chi un lavoro già ce l’ha, quindi non a chi cerca un’occupazione né a chi ha perso il lavoro causa Covid e non riesce a trovarne un altro. Del Reddito di cittadinanza non vale neanche la pena parlare: fa talmente acqua da tutte le parti che l’Esecutivo ha già deciso di modificarlo. La seconda mossa da fare è gemella della prima: un taglio netto alla spesa pubblica di circa 30 miliardi l’anno. Calma. Si può fare senza “macelleria sociale” e senza ridurre i servizi (peraltro pessimi) ai cittadini. Volete un esempio? Ogni anno le Regioni danno circa 17 miliardi ad attività produttive che in gran parte di produttivo hanno poco o nulla. Se venissero in buona parte tagliati non se ne accorgerebbe nessuno, tranne qualche assessore e quelle reti di capitalismo di relazione che succhiano risorse pubbliche senza fare un euro di Pil. Invece, se quei soldi così risparmiati fossero convertiti in tagli di tasse, o se servissero a pagare la formazione di chi perde il lavoro, se ne accorgerebbero in molti. Volete un altro esempio? Analisi autorevoli come quelle del Centro studi Economia Reale del professor Mario Baldassarri, da anni stimano che sulla sola sanità la semplice applicazione dei costi standard (veri, non farlocchi) farebbe risparmiare 10 miliardi. Si potrebbe andare avanti, ma accontentiamoci di aver recuperato già 60 miliardi che ogni anno vanno in fumo senza migliorare di un millimetro la vita dei cittadini. Non ce lo possiamo più permettere. La terza mossa è un taglio del debito pubblico. Tralasciamo i tecnicismi e facciamola breve: un abbattimento del passivo di alcune centinaia di miliardi attraverso un fondo azionario garantito dallo sterminato patrimonio immobiliare pubblico. La scelta spetta a Draghi. Al premier non mancano certo capacità, coraggio, determinazione e senso delle decisioni difficili. Se non ora quando?