Accessibilità:
-A A +A
Print Friendly, PDF & Email

Palazzo San Giacomo, un trentennio di disastri

Opinionista: 

In vista di un voto molto importante per il futuro di Napoli, non fa male rivisitare un po’ il passato per sapersi meglio orientare. Cosa che facciamo. È dal “post-tangentopoli”, dal 1993, cioè dalla nuova era delle “magnifiche sorti e progressive”, che la sinistra napoletana non ne azzecca una alla guida di Palazzo San Giacomo. A provarlo è l’oggettivo pessimo corso amministrativo di quest’ultimo trentennio, che non offre alibi o scusanti. L’ibrida concentrazione politica delle sinistre “associate, dissociate o ribellistiche” partita con le promesse più ambiziose, di volta in volta, con un nome, servito da collante temporaneo tra le sue tante differenti anime e “malanime”, ha disatteso ogni aspettativa con un trittico di sindaci, in successione, uno più deludente dell’altro. La serie ebbe inizio con Bassolino , la cui Napoli immaginata è rimasta sulla carta. Si è difatti scritto a riguardo che “Il consiglio allora approvò pagine su pagine, progetti di ogni porta, si ebbero tre varianti al piano regolatore ma nessuno ha mai percepito un conseguente segnale di cambiamento”. Venne poi la Iervolino: un decennio il suo, talmente nullo da provare serio imbarazzo solo a doverlo ricordare. Il massimo dell’ inerzia fu toccato quando il governo le diede poteri di commissario ai parcheggi e lei si ridusse a metterne in cantiere dodici, al termine del suo secondo mandato, troppo tardi, consentendo così al grande “successore e riformatore” de Magistris di liquidare la pratica per “far strada alle piste ciclabili sui marciapiedi”. Una genialità che ci atterrisce tuttora. Comunque quale ulteriore riprova dell’ amore e dell’attaccamento di costoro per Napoli, considerato che finora nessuno l’ha rimarcata, è questo il momento per sottolineare invece la palese, comune disaffezione di tutti e tre. Il primo lasciò anzitempo il Comune per puntare alla Regione; la seconda visse gli ultimi anni da sindaco contando i giorni e le ore che mancavano al suo desiderato congedo da Palazzo San Giacomo; il terzo, in realtà, stava a Napoli ma il suo pensiero era altrove, su come apparecchiarsi un trono in Calabria. Con questi campioni “civici”, non ci si poteva attendere che un inesorabile declino ormai sotto gli occhi di tutti. ”Il vero problema di Napoli - scriveva un autentico riformista come Umberto Ranieri - è la staticità che ha caratterizzato la sua storia negli ultimi decenni mentre le città del mondo erano investite da intensi processi di cambiamento”. Di fronte a un’eredità del genere, disastrosa, un anno fa, parve muoversi più di qualcosa per voltare finalmente pagina. A farlo sperare fu un’imperiosa discesa in campo del cosiddetto “mondo civico” che promise di fare la festa alla “sinistra rovina” di Napoli. Promesse da baracconi. Dopo averne detto peste e corna, larga parte del mondo civico è “pappa e ciccia” con la sinistra-rovina di Napoli, più onesto chiamare “sinistra manfredista” in omaggio al suo profeta Gaetano Manfredi. Da “rottamatore” a “stabulatore” nel ripescaggio quotidiano di grillini, fichiani, fichetti, exdemagistrisiani, excesariani, exbassoliniani, lanzottisti di tutte le stagioni, addirittura per la riemersione dei pomiciniani. A conti fatti Manfredi è il garante, lo scudo stellare di una ennesima mimetizzazione camaleontica delle sinistre ai danni della città, di un intollerabile “papocchio”, del patto tra i Cinquestelle di Fico, l’ultima sentinella del verbo grillino, e della peggiore sinistra napoletana. Più di qualche anno fa per le sue malefatte nel mirino delle mitraglia di “vaffa” del M5S che, a Napoli, per questo campagna di insulti guadagnò un consenso del 50% dei voti. Destinato presto a prosciugarsi notevolmente per un voltafaccia inqualificabile verso un elettorato che gli credette e lo votò. Allo sconcerto va aggiunta la commiserazione per taluni cosiddetti intellettuali del Sud, che tifano de Magistris candidato alla presidenza della Regione Calabria, esaltandone le doti di amministratore e di politico, mai in verità dimostrate nel corso di un decennio da sindaco di Napoli, e invece tacciono su una neo-sinistra, più vecchia che neo, capeggiata da Manfredi, una sorta di “frittura mista racida”.