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Papa Bergoglio e il sogno di un’Europa nuova

Opinionista: 

Uno dei tratti caratteristici della personalità e del pensiero di Papa Bergoglio è il prevalere – nelle sue analisi, nei suoi scritti e nelle sue allocuzioni – di una visione non cupa e pessimistica della realtà storica, politica e sociale, ma ottimistica ed ispirata alla speranza. E si tratta di una speranza che non è solo, come vuole la dottrina cristiana, una delle virtù teologali, insieme alla fede e alla carità, ma un monito all’agire, alla rimozione di tutto ciò che si oppone al pieno dispiegamento dell’umano. Questo motivo è emerso con evidenza nel discorso che Francesco ha pronunciato in occasione del conferimento del premio Carlo Magno. Qualcuno ha osservato che l’immagine dell’Europa delineata dal Papa è apparsa troppo idilliaca e spostata tutta sulla sua eredità migliore: l’umanesimo, il sentimento di accoglienza e fratellanza, l’attenzione verso gli ultimi, la cura verso i più deboli. Ma è proprio la dolorosa e sensibile consapevolezza delle tragiche epoche buie della storia d’Europa e dei pericoli che esse tornino a dominare lo scenario odierno, a indurre Bergoglio a raccontare agli statisti europei il suo sogno di un’Europa giovane e madre, proprio perché «rispetta la vita e offre speranze di vita». Quello raccontato dal Papa non è un sogno avveniristico e irreale, è un sogno che si fa utopia concreta, nel senso che si basa sulla analisi del reale al fine di modificarlo nell’ora e nel qui. Questo perché l’attenzione di Francesco non è certo solo misericordiosa e consolatoria, ma innanzitutto propositiva nella denuncia di insostenibili situazioni e nell’indicazione delle vie d’uscita non più rinviabili. E allora il primo monito rivolto ai governanti europei è quello di ridare nuova linfa vitale ad un corpo che sembra aver perso la capacità generatrice e creatrice. È questa l’Europa pericolosamente affacciata sul baratro, decaduta, colpita da interessi economici e politici in conflitto, mossa dalla volontà di dominare e rinserrare gli spazi invece di produrre momenti di inclusione, che non riesce più a mettere in moto nuove vie di sviluppo come occasione di apertura e non chiusura delle dinamiche sociali. Dov’è finita – ha chiesto con angoscia il Papa agli statisti presenti – l’Europa dei diritti umani, la patria degli ideali democratici, la madre di tanti uomini e donne che hanno combattuto per sua libertà? Non si tratta di dimenticare le brutture e i drammi indicibili delle guerre di religione, dei conflitti mondiali, delle dittature, delle persecuzioni razziali, religiose e politiche. Ma di operare – come diceva Elie Wiesel citato da Francesco – una “trasfusione di memoria”, quella di un’Europa come luogo di incontro pacifico tra civiltà e confessioni religiose diverse, di un’Europa che ha il volto di varie culture e i tratti della scelta ferma e coerente di combattere ogni chiusura, ogni muro, ogni barriera. Infine, l’appello a che la cultura del dialogo entri in tutti i curricula scolastici, come quel terreno trasversale che congiunga saperi e discipline diverse. Anche Bergoglio, come Martin Luther King nel 1963, ha un sogno che vorrebbe si realizzasse con il concorso di coloro che hanno in mano i destini dell’Europa. «Sogno un’Europa in cui essere migrante non è un delitto. Sogno un’Europa dove i giovani respirano l’aria pulita dell’onestà, dove sposarsi e avere figli è una responsabilità e una gioia, non un problema dato dalla mancanza di un lavoro stabile. Sogno un’Europa delle famiglie, con politiche veramente effettive, incentrate sulla nascita dei figli più che sull’aumento dei beni. Sogno un’Europa di cui non si possa dire che il suo impegno per i diritti umani è stata la sua ultima utopia».