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Partiti senza più appeal con le strane alleanze

Opinionista: 

Quando all’inizio degli anni ’70, perseguendo sua politica di “nuovi e più avanzati equilibri”, l’allora segretario del Partito socialista Francesco de Martino pensò di cogliere l’occasione della nascita delle Regioni per costruire in alcune di esse alleanze con il Partito comunista di Berlinguer mentre a Roma sedeva al governo con la Democrazia cristiana, le reazioni furono decise e forti. Non si riteneva, in quel tempo, che un partito politico potesse diversamente coalizzarsi al centro e nella periferia: nemmeno se quelle alleanze fossero il frutto di riflettute sperimentazioni e dovessero servire a costruire nuovi spazi progettuali: in quel caso, lo sdoganamento del Partito comunista ed il suo accesso al governo: quel che Moro e Berlinguer avrebbero poi, dopo qualche anno, chiamato “compromesso storico”. Oggi le cose sono mutate, e non poco. Se c’è un tratto che contrassegna il paesaggio delle prossime elezioni regionali, è l’evidente esplosione della formapartito. Campania, Veneto, Marche, Puglia, non solo vedono alleanze sempre differenti da quelle presenti al centro ma addirittura è ricorrente il caso di partiti che si sdoppiano ed incrociano in eleganti chiasmi, della pagina letteraria. Qui in Campania abbiamo forme sublimi, con esponenti e formazioni della destra che appoggiano, o almeno dichiarano di volerlo fare, il candidato della sinistra ed esponenti della sinistra che appoggiano il candidato della destra. O, ancora, come nel caso del candidato Vozza, formazioni che si riproducono, ciascuno dei suoi rappresentanti considerandosene il più genuino esponente. Per non dire dell’autocandidatura di successo realizzata dall’ex sindaco di Salerno, e solo tardivamente digerita dal Pd, il quale infine presenta, da partito di governo, un candidato incandidabile, secondo la legge dello Stato. Un bel quadro, non c’è che dire. Ce n’è a sufficienza per domandarsi cosa stia accadendo. Il dato più evidente è che i partiti non hanno più alcun appeal. E non ne hanno, io credo, perché s’è ormai completamente avuta la dissoluzione del loro ruolo d’aggregatori ed ordinatori di istanze secondo criteri che si elaborano su politiche intese a favorire determinati processi d’evoluzione sociale rispetto ad altri. I partiti attuali (la cronaca giudiziaria lo dimostra e le scelte politiche lo confermano) sono ormai animati – unicamente – dall’occupazione dei luoghi istituzionali dove la posta in gioco è il pubblico potere. Non c’è altro che distingua destra, centro o sinistra: nessun indirizzo caratterizza una formazione rispetto ad un’altra. Nessuna scelta di fondo connota e differenzia l’una dall’altra le forze politiche. Ed a livello regionale tutto si risolve in indistinte quanto generiche asserzioni sulla buona amministrazione, il risanamento della Regione l’efficienza dei servizi ed altre consimili vacuità; in un panorama ancor più deprimente, tanto da non far intendere per qual mai ragione ci si dovrebbe incomodare per votare l’uno o l’altro dei competitors in campo: a meno di non far capo, ovviamente, all’una o all’altra consorteria, in modo da poterne conseguire i favori. Sono queste le situazioni che favoriscono, da sempre, le svolte a sfondo autoritario e comunque demagogico. La dissoluzione politica e morale dei partiti al potere induce nella generalità degli elettori il disgusto nella politica tout court; e di qui, il passo è breve, nei confronti dell’intero mondo istituzionale, nelle leggi che questo produce, nelle regole che non ci si sente di rispettare perché, spesse volte a ragione, si è portati a crederle sostanzialmente illecite e frutto di quel modo compromissorio ed opportunistico di gestione del potere nell’interesse di coloro che riescono, in intuibili modi, a condizionarlo per conseguirne i premi che è in grado di distribuire. La svolta fascista, con tutti i suoi difetti ma anche con i suoi indiscutibili pregi, fu il frutto della crisi grave dei partiti nell’Italia liberale, incapaci di rispondere alle forti insoddisfazioni sociali del dopoguerra e tutti chiusi nella loro vanità politica. Ed all’epoca non c’era, o almeno non era tanto visibile, la corruzione odierna. Non c’è da meravigliarsi di fenomeni come i Cinque stelle o la Lega. Sono ancora prove di recitazione; basta attendere che il desolante spettacolo offerto dai nostri partiti continui a tenere la scena, perché dalle prove si giungerà ai fatti.