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Quel dialogo interrotto tra politica e cultura

Opinionista: 

A volte è indispensabile tirare il fiato. Proviamo, allora, a distaccarci dalle dispute deprimenti della politica contingente allargando lo sguardo verso più ampi orizzonti, per cercare di comprendere quale sia la ragione di un decadimento che è sotto gli occhi di tutti. Alfonso Berardinelli, critico letterario e saggista di notevole spessore, ha dato, qualche mese fa, sulle colonne del quotidiano cattolico, una spiegazione di questa crisi che ci sembra particolarmente convincente e soprattutto di stringente attualità. “I politici e la politica - ha scritto Belardinelli - sono oggi deculturizzati, espellono la cultura, non la praticano, non cercano la sua collaborazione, evitano gli intellettuali e ormai è chiaro che li temono perché sono convinti (non senza ragione) che gli intellettuali e la loro cultura tengano lontani gli elettori”. Non vorremmo recitar la parte, qualità che già nell'antichità Orazio attribuiva agli anziani, nostalgici di quel che era stato il tempo della loro giovinezza. Ma se, appunto, volgiamo per un attimo lo sguardo all'indietro, ci accorgiamo di quanta saggezza contenesse la frase di Sant'Agostino che veniva riportata nei posacenere di ceramica tanto amate dalle nostre nonne: “Poco se mi considero, molto se mi confronto”. La fuoriuscita dalla cultura che i nostri politici hanno realizzato, con grande tenacia, risale a non molto tempo fa; potremmo farla coincidere con la fine della Prima Repubblica. È praticamente da allora che i politici del “nuovo corso” hanno deliberatamente deciso di rinunciare al ruolo di “guida” della pubblica opinione che assolvevano in passato, puntando ad una affannosa e indiscriminata cattura del consenso. Ciò ha prodotto una duplice conseguenza: da un lato ha determinato una sorta di allontanamento dei partiti dal mondo della cultura concepito come un fastidio, estraneo com’è alla massa elettorale della quale si vogliono ottenere i favori; dall’altro ha allontanato gli intellettuali dalla politica (dove sono oggi gli Sciascia, i Pasolini, i Bobbio, gli Eco? E potremmo citarne tanti da non poter contenere i loro nomi nelle dita delle mani) che, privata dell’apporto delle loro idee, delle loro intuizioni, della creatività che da queste intuizioni scaturiva, ritiene che il suo compito fondamentale sia quello di compiacere, acriticamente, gli umori, anche quelli meno nobili, che si propone di portare dalla propria parte. In sostanza quello che in tal modo si è verificato è un vero e proprio conflitto tra politica e cultura del quale nessuno dei “contendenti” può trarre giovamento: non la politica della quale tutti possono valutare l’inaridimento, l’immiserimento, la mancanza di respiro, affondata com’è nella mediocre dimensione del piccolo cabotaggio; non la cultura che perde la sua capacità di incidere nella vita della comunità della quale fa parte per chiudersi nell’angusto recinto di una asfittica accademia. Ricostruire un circuito virtuoso nel rapporto tra politica e cultura: ecco, dunque, un grande compito, quasi una missione per quanti abbiano forza intellettuale e morale per farsene protagonisti.