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Rappresentante e rappresentato

Opinionista: 

Non so se sia stata una coincidenza voluta, ma il raffronto tra le celebrazioni romane del 60° anniversario dei Trattati di Roma e la visita del Papa a Milano mette a nudo un fatto che salta subito agli occhi. L’incontro tra i 27 Capi di Stato e di governo è avvenuto in una città impaurita e indifferente e tutti o quasi gli eventi si sono svolti nel chiuso dei palazzi del potere e se non fosse stato per i cortei (meno affollati e meno violenti delle fosche previsioni) nessuno se ne sarebbe accorto. A Milano, invece, la visita pastorale di Francesco è stata caratterizzata in ogni momento dal contatto con folle certo devote, ma anche entusiaste, multicolori, allegre. Non è la prima volta che il Papa enuncia convincimenti e analisi che vanno al di là delle usuali forme caute e felpate del linguaggio curiale; e non è neanche la prima volta che le allocuzioni e i discorsi di Bergoglio sono apparsi più incisivi e veri di quelli della politica nazionale e internazionale. Senza esitazioni protocollari, il Papa, ricevendo i Capi di Stato in Vaticano, ha espresso, con la sua esemplare chiarezza, quali possano e debbano essere i percorsi di una rinnovata politica europeista, capaci di porre un argine a un progressivo dissolvimento dei principi fondativi dell’Europa unita: innanzitutto un rafforzamento concreto del sentimento di solidarietà, indispensabile antidoto verso ogni forma di populismo e poi l’appello a guardare all’Europa e alle sue istituzioni non solo come produzione di regole economiche e giuridiche da seguire ad ogni costo. Ma ciò comporta la scelta di affrontare, con la teoria e la pratica, i problemi dell’accoglienza dell’altro, ben sapendo, però, che non bastano regole e norme, ma la volontà di abbattere muri reali e muri culturali, alla luce di un rinnovato e concreto spirito di solidarietà. Le buone intenzioni, tuttavia, si scontrano con una situazione – in buona parte provocata dalle errate politiche finanziarie e dalle manovre restrittive imposte ai paesi più deboli – come quella attuale caratterizzata da una crisi profonda della democrazia e della sua vera essenza: il rapporto reale tra rappresentante e rappresentato. Il populismo nasce in questo spazio ormai vuoto, vuoto di idee e vuoto di riforme radicali di carattere sociale. La crisi dell’Europa non si affronta e non si risolve con dichiarazioni di principio molto spesso retoriche, ma con istituzioni che nascano dalla forza deliberativa di una democrazia reale e dalla libera scelta di poteri decisionali emananti dai soggetti politici, culturali, sindacali, finanziari, economici, nella prospettiva di un governo unico, di organi parlamentari unici, di servizi di sicurezza unici. Non a caso il presidente Mattarella ha posto l’accento sulla necessità di dare una nuova Costituzione all’Europa, che non è più quella del 1957 e che è stata col passar dei decenni sempre più colpita dalle conseguenze della fine della guerra fredda, dalla crisi dei socialismi europei, dalla crescita delle destre xenofobe e populiste, dagli attacchi del terrorismo. Se non si pone mano a questa riforma radicale, l’Europa diventerà sempre più ostacolo alla definizione e alla costruzione di nuovi contenuti democratici, coinvolgendo nella sua crisi gli assetti democratici e le prospettive di rinnovamento dei popoli europei. Si capisce allora l’allargarsi sempre più preoccupante dei critici radicali degli ideali europei. Non mi preoccupano quelli che lo sono stati da sempre (Lega in testa), ma le giovani generazioni che ancora si richiamano agli ideali della sinistra, il loro scetticismo e il loro antieuropeismo, talvolta giustificati dalle scelte politico-sociali degli apparati economico-finanziari europei. Ad essi va detto con pazienza e pacatezza – come ha sostenuto un famoso teorico marxista francese Etienne Balibar – che “la cittadinanza europea è a un tempo un ideale e un mezzo per affrontare le sfide del mondo contemporaneo”.