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Referendum: non serve la pletora di nullafacenti

Opinionista: 

L’approssimarsi della data in cui dovrebbe tenersi la consultazione referendaria chiamata a ratificare il taglio di un terzo dei parlamentari attualmente previsti da una legge costituzionale (945, oltre i senatori a vita) sta animando il dibattito tra favorevoli e contrari. Per quel che mi riguarda, non riesco a trovare una sola valida obiezione al fatto che questa riforma, faticosamente votata dal Parlamento, non debba essere vista positivamente. Anzi, forse, una valida obiezione ci sarebbe pure, ed è legata al fattore populista, smaccatamente populista, che l’ha soprattutto sorretta. Ma non mi sembra una ragione sufficiente per avversarla, dato che, in politica, com’è noto, il fine ha da sempre giustificato i mezzi e punti d’incontro vantaggiosi sono di frequente attinti per indicibili strade. Perché, tolta questa obiezione, davvero non riesco a comprendere per quale ragione si dovrebbe avversare una riforma che riduce significativamente l’attuale pletora di variopinti signori che siede in Parlamento senza offrire alcun contributo alla Nazione. Partirei da un dato, perché i dati sono sempre utili a capire. Tra le iniziative legislative d’origine parlamentare, i cosiddetti disegni di legge, circa l’1 % si trasforma in testo definitivamente approvato. La gran parte di essi, circa il 95% non viene nemmeno assegnato ad una Commissione perché venga esaminato. Dunque, più confusione che altro. Vuoi per impreparazione, vuoi perché le esigenze cui dare risposta sono note agli uffici governativi e non a quelli parlamentari, la realtà è che oltre i tre quarti delle leggi di cui disponiamo vengono formulate dal Governo, per meglio dire, dagli inaccessibili uffici e gabinetti ministeriali ai quali sono sottoposte da attive lobbies. Questa la realtà. Una realtà che dovrebbe vedere affidato al Parlamento un compito essenzialmente diverso da quello della “rappresentanza dei territori”, intendendosi con questa espressione la capacità di dare forma ad interessi espressi dalle comunità locali. Un moderno Parlamento dovrebbe svolgere soprattutto un ruolo di vigilanza sull’Esecutivo, verificando che esso operi nell’interesse del Paese, fermandone l’azione quando ciò non accada, evitando che travalichi i propri compiti restringendo il fecondo pluralismo sociale ed istituzionale. Insomma, il modello è un po’ quello che contrappone negli Stati Uniti la potente Amministrazione presidenziale alla Camera dei deputati ed, ancor più, al Senato. Ma per svolgere questa funzione di controllo, è necessario che ci sia un Parlamento i cui componenti siano soggetti politicamene autorevoli, dotati d’indipendenza e competenza, capaci all’occorrenza di mettersi anche di traverso rispetto ad iniziative non condivise. Affinché uno scenario del genere sia ipotizzabile, non è certo necessario avere una pletora di nullafacenti, privi di qualsiasi competenza professionale, non dotati di profilatura politica, solamente intesi a cercar di passare dagli scranni dei parlamentari a quelli del Governo o del sottogoverno. Sarebbe invece necessario poter contare su un numero selezionato di eletti, che grazie ad un significativo suffragio avrebbero statura ed indipendenza dall’Esecutivo e dagli stessi partiti di riferimento e potrebbero così esercitare il loro ruolo delimitante, attraverso incisivi strumenti di investigazione parlamentare e di indirizzo politico e dunque realizzare con effettività la mediazione tra gli interessi, propria di un modrno istituto parlamentare. A smentire la frottola della rappresentanza dei territori che s’indebolirebbe o addirittura la narrazione controfattuale secondo cui un Parlamento meno numeroso sarebbe un Parlamento più debole basterebbe compiere, ciascuno di noi, una semplice osservazione: provarsi a ricordare almeno i nomi, se non anche i volti, dei parlamentari della propria circoscrizione. Tanto per dire, solo di deputati, la circoscrizione Campania 1 ne elegge ben 33. Qualcuno ne ricorda più di quattro o cinque? E quelli che ricorda, li associa a battaglie combattute per rappresentare i nostri interessi o non per avventura a causa di malestri dai medesimi compiuti o di cui sono stati a torto o a ragione accusati? Eppure, se dovessimo opporci al taglio con il fine di assicurarci una migliore rappresentanza d’interessi, vorrebbe dire che quegli interessi abbiamo visto impersonati alla meglio dalla nutrita compagnia attualmente in forza e per noi al lavoro in Parlamento. Quando si compiono scelte – in politica come nella vita – gli ideali contano di certo, ma vanno sempre messi alla prova, verificati nelle loro concrete realizzazioni. Se così non si fa, agli ideali si sostituiscono subdolamente le ideologie, che sono idee strutturate ad arte per confondere le persone, facendo loro perder di vista gli effettivi interessi e spingendole così verso scopi che sono quelli voluti dagli ideologi. Per dire: nell’attuale dibattito si è giunti a sostenere che la riforma non può essere approvata, altrimenti il Parlamento non potrebbe più ben funzionare, perché i regolamenti di cui allo stato si dispone non sarebbero adatti ad un numero ridotto di componenti. Di grazia, ma se in ogni posto del mondo i regolamenti seguono le esigenze da regolare, non viceversa, perché mai quelli nostrani sarebbero immodificabili? Le obiezioni che vengono mosse al taglio dei parlamentari, mi paiono tanto puerili da far sorridere. Non è possibile credere che sperimentati giuristi e navigati politici pensino davvero che dando un taglio a quella massa di deputati e senatori – ricordati il più delle volte solo per le vongole che si lasciano sfuggir di bocca – la qualità della rappresentanza resti pregiudicata. Credo sia vero l’esatto contrario. Ed allora c’è da chiedersi perché tanta opposizione da parte di così qualificate élites. Discorso che possiamo riservare ad altra occasione.