Accessibilità:
-A A +A
Print Friendly, PDF & Email

Renzi, il dito, la luna e la riforma elettorale

Opinionista: 

Parallelamente alle polemiche già fin troppo roventi sul referendum che, nel prossimo ottobre, dovrebbe consentire il varo della riforma costituzionale, un’altra disputa s’accende tra le forze politiche. Riguarda la modifica del sistema di voto, l’Italicum, riforma che dovrebbe assicurare al paese una più sicura governabilità e che dovrebbe entrare in vigore nel luglio prossimo. Pier Luigi Bersani, ex segretario del Pd e leader dell’opposizione interna a Matteo Renzi, è giunto a garantire al presidente del Consiglio il suo voto a favore della riforma costituzionale a condizione che quella elettorale sia modificata. Renzi ha già risposto picche, ma contro l’Italicum tutte le opposizioni hanno deciso di ingaggiare una battaglia durissima. Motivo di fondo di questa contestazione che segnerà ancor più della modifica della Costituzione la vita politica nelle prossime settimane, è il timore che, con la nuova normativa, il potere del premier possa aumentare a dismisura. Al di là di tutte le obiezioni che vengono mosse alla legge e sulle quali si discute da mesi, il problema di fondo è tutto qui: nel fatto che essa, a parere dei contestatori di Renzi, rafforzando il Governo, rafforzerebbe la posizione di colui che ne è alla guida. Se il punto è questo – e ci sembra proprio che lo sia – non possiamo condividere il punto di vista dell’opposizione, di destra o di sinistra che sia. Intendiamoci. Di difetti, nell’Italicum, ce ne sono a iosa e non si può negare che si tratti di una normativa perfettibile. Se le opposizioni, quando è stata discussa in Parlamento, anziché avere come obiettivo quello di far cadere il Governo, avessero avuto quello di renderla migliore, forse sarebbe stato possibile eliminare più di una stortura. Ma così non è stato. L’unico desiderio era quello di far cadere Renzi e ora, a cose fatte, i ripensamenti, da una parte e dall’altra, appaiono impossibili. E, soprattutto, non convince la tesi secondo cui la stabilità del Governo avrebbe come fine ultimo quello di rendere Renzi più forte. Certo, nel breve momento, a giovarsi di una maggiore stabilità dell’Esecutivo sarebbe l’inquilino di Palazzo Chigi. Ma una legge non si fa contro una persona. Si fa per risolvere un problema. E l’instabilità dei governi che si sono succeduti nel nostro paese dal dopoguerra ad oggi, causato dalla precarietà delle maggioranze che li hanno sostenuti, è stato ed è un problema di enorme portata che ha causato non pochi e non piccoli danni. Il problema, del resto, non è di oggi. Si propose già nel lontano 1953 quando, proprio per garantire una maggiore e migliore governabilità, Alcide De Gasperi fece approvare dal Parlamento quella che i suoi avversari ingiustamente definirono “la legge truffa” che prevedeva un premio di maggioranza del 65 per cento dei seggi della Camera alla lista o al gruppo di liste collegate che avessero superato la metà dei voti validi. Il meccanismo non scattò per lo 0,2 per cento dei voti. E gli oppositori di De Gasperi vestirono i panni dei trionfatori. Quella sconfitta segnò la fine politica di De Gasperi ma, con il trascorrere degli anni, molti di coloro che avversarono quella legge, versando lacrime di coccodrillo, andarono ad ingrossare le schiere dei pentiti. Tutti hanno potuto constatare quali siano state, per il nostro paese, costretto ad una permanente instabilità, le conseguenze di quell’insuccesso. E, osservando l’agitarsi di una certa opposizione, ci vien da pensare all’antica metafora cinese della luna e del dito secondo la quale lo stolto, avendo chiesto al saggio di fargli vedere dove fosse la luna, si fermò a guardare il dito che gliela indicava. Prepariamoci, perciò, purtroppo, ad un’aspra battaglia contro una riforma, quella elettorale, che – come abbiamo detto – è certamente perfettibile, ma sulla cui necessità tutti dovrebbero convenire e che invece, secondo un inveterato costume del nostro mondo politico, viene ridotta a strumento di mediocri manovre personalistiche.