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Ridateci la spiaggia di Coroglio bonificata

Opinionista: 

I napoletani che nei mesi estivi non potevano permettersi di andare alle spiagge calabresi o sarde o alle isole Eolie e, men che meno, alle Seychelles o a Mauritius li trascorrevano negli stabilimenti balneari della grande spiaggia di Coroglio, con i capannoni industriali dell’Ilva alle spalle e le limpide acque tra la battigia e l’isolotto di Nisida davanti. Ricordo, tra i tanti, il bellissimo “Lido delle Sirene”, che frequentavo da studente, che, oltre alle comode cabine, aveva tre bar (uno sulla spiaggia), un ristorante, un campo di tennis e una sala per il ping-pong. E i napoletani la frequentarono fino agli anni ’60. Fu negli anni del ”sacco di Napoli” che il presidente dell’Italsider decise di scaricarvi i cascami delle lavorazioni siderurgiche, che fino ad allora venivano portati sui vagoncini ferroviari alla fine del pontile nord per caricarli sulle navi , che vi attraccavano per lo scarico dei materiali grezzi e il carico dei manufatti ferrosi. E nacque la famigerata “colmata” piena di veleni (piombo, cadmio, arsenico, amianto, rame, zinco e gli idrocarburi policiclici aromatici altamente cancerogeni) che hanno inquinato i fondali marini antistanti. Un crimine ambientale commesso nella indifferenza generale. Nessuno protestò. Nemmeno il film “ Le mani sulla città”, che nel ’62 venne premiato col Leone d’Oro, non lo denunciò. E i napoletani, abituati alle angherie e ai soprusi di secoli, se ne fecero una ragione. Fino al 1996. Fu il 18 novembre di quell’anno che il Parlamento approvò all’unanimità la legge n° 582 recante “Disposizioni urgenti per il risanamento dei siti industriali delle aree di Bagnoli e di Sestato San Giovanni (…) È prevista la bonifica dell’arenile Bagnoli-Coroglio e dell’area marina mediante il ripristino della morfologia naturale della costa con operazioni di smantellamento e di rimozione di tutto ciò che l’ha alterata”. Dopo un quarto di secolo, consumato in affabulazioni urbanistiche di una Bagnoli futura con case, alberghi, porti turistici, megacentri congressi, archeologie industriali, attrezzature sportive e altre insensate proposte (Fuorigrotta è il rione che ha tutto e di più), mi sembra che sia giunto il momento (e quando sennò) di rimuovere la colmata e, nel contempo, disinquinare i fondali marini, come prescrive la legge. E di realizzare sui suoli bonificati un grande parco verde (più grande del bosco di Capodimonte, della Floridiana e della Villa comunale messi insieme, un polmone verde del tutto necessario per migliorare la qualità dell’aria e della vita) con dentro le esistenti Città della Scienza, clinica delle tartarughe e Porta del parco. Un piano molto semplice e poco costoso da attuare nel tempo massimo di un anno e mezzo. Questa è la città dove nel 1737 è stato costruito il Real Teatro di San Carlo, il primo teatro lirico italiano, in soli dieci mesi e dove nel 1940 è stata realizzata in venti mesi la grandiosa Mostra Triennale delle Terre Italiane d’Oltremare, annoverata tra le migliori opere architettoniche europee, e dove nel 1952 è stata ricostruita come Mostra d’Oltremare e del Lavoro Italiano nel Mondo in soli diciotto mesi. È questo l’unico modo per recuperare la credibilità perduta per la palese incapacità di inverare la legge 582/96 dei sindaci Antonio Bassolino, Rosa Russo Iervolino e Luigi de Magistris (si sono succeduti a palazzo San Giacomo nell’arco di ventisei anni…). E per dimostrare che Napoli è una città seria. La trasformazione dell’isolotto di Nisida in un grande attrattore turistico di livello mondiale (casinò, alberghi, ristoranti, discoteca, piccolo centro balneare a porto Pavone, utilizzando i manufatti edilizi esistenti nel rigoroso rispetto dei valori ambientali) e la realizzazione del porto turistico a Cala Badessa (esistono numerosi progetti) riguardano il comune di Napoli e gli imprenditori italiani ed europei. Nisida è un bene comune che non può continuare a essere negato ai napoletani. E ai turisti.

g_mazziotti@yahoo.it