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Rifiuti ed energia, sì a servizi migliori

Opinionista: 

In Italia il costo di smaltimento e gestione dei rifiuti sfiora i dieci miliardi di euro. L’87% del costo è coperto dalla Tari, quindi da cittadini e imprese. L’importo si aggira sugli 8,69 miliardi. I dati forniti da Althesys, società che misura l’impatto delle strategie e i risultati concreti di aziende preposte a servizi pubblici, non sono, peraltro, le “tavole della legge”. Nel senso che si possono migliorare, visto che i costi della Tari sono originati in parte rilevante dal livello di efficienza del servizio. Come i cittadini napoletani ben sanno, vi sono Comuni costretti dalla mancata realizzazione del ciclo integrato a trasferire i rifiuti in altre aree. Il che, ovviamente, si traduce in aggravio degli oneri. Situazioni simili si ritrovano nel campo dell’energia. Uno studio della Cgia di Mestre pubblicato lo scorso luglio confermava la tassa impropria cui sono sottoposte le piccole e medie imprese italiane, obbligate a pagare tariffe più alte di quasi il 28% rispetto alla media dell’Unione europea. Cosa si può fare per cambiare in meglio questo scenario, su un fronte o sull’altro? La risposta è semplice: realizzare impianti tali da ridurre i costi e aumentare la qualità dei servizi. Perché, allora, non si procede? Per colpa della classe politica? La risposta, in questo caso, è “anche”. Perché, purtroppo, una grande responsabilità dell’inerzia delle istituzioni deriva da un deficit di maturità della società civile. È stato appena pubblicato il censimento annuale dell’Osservatorio Nimby, acronimo che sta per “Not in my backyard” (non nel mio cortile). I progetti per la realizzazione di opere di pubblica utilità bloccati da opposizioni “senza se e senza ma” (ahimé, spesso anche “senza cervello”) da parte di comitati, partiti ed enti pubblici, sono stati, nel solo 2016, pari a 359, con un aumento del 5% dei contenziosi locali rispetto al 2015. Si impedisce, in molti casi, di dare vita a impianti che vanno nella direzione di quel ciclo dei rifiuti e di quella green economy, della cui indispensabilità ci si riempie la bocca in occasione di convegni e dibattiti. Qual è la colpa della gente? È di dar manforte a personaggi che basano la loro “linea del Piave” su critiche in troppe circostanze pretestuose, a volte basate su fake news o, più semplicemente, “bufale”. Un andazzo che ormai paralizza l’intero Paese. Il primato degli impianti contestati l’anno scorso è toccato a Lombardia ed Emilia Romagna. Forse è ora di opporre un bel niet ai niet. Snidare chi desidera che l’Italia resti la cenerentola dello sviluppo economico.