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Salvini ha un nemico: si chiama Parlamento

Opinionista: 

La tenacia con la quale Matteo Salvini rifiuta – nonostante le pressanti richieste di alleati ed avversari – di fornire al Parlamento spiegazioni su quella che, ormai, i mass media hanno denominato “Russopoli”, cioè lo scandalo dei finanziamenti che dalla Russia sarebbero arrivati alla Lega, non è determinata soltanto dall’imbarazzo che la vicenda gli procura. In quel rifiuto c’è qualcosa di più; c’è una sorta di malcelato disprezzo per l’istituto parlamentare e la volontà di evitare che l’istituto parlamentare - nel quale da tempo egli ha individuato il suo vero nemico - riacquisti quel ruolo centrale nella vita politica italiana che sembra aver perso. Il lettore mi perdoni se, per spiegare meglio il mio pensiero, indulgerò ad un ricordo personale. Quello dei giorni nei quali, per il mio lavoro professionale, frequentavo con quotidianità la Camera dei deputati. Il transatlantico di Montecitorio era sempre affollatissimo e i leader di tutti i partiti vi affluivano costantemente e spesso era proprio lì che si stringevano o si rompevano alleanze. Insomma il Parlamento, dato che anche in Senato si viveva un'analoga atmosfera, era davvero "la casa della politica". Tant'è che Sandro Pertini, nella veste di presidente della Camera, giunse a proporre che anche le direzioni dei partiti si riunissero a Montecitorio, così da dare piena attuazione al dettato costituzionale secondo il quale l'Italia è una repubblica parlamentare. Ebbene, mi è capitato, nei giorni scorsi, di tornare, dopo qualche tempo alla Camera. Un deserto: scarso il numero dei giornalisti, scarsissimo quello dei deputati. La politica si svolge altrove, nelle "segrete stanze" dei partiti o del governo e proprio il ruolo sempre meno significativo dell'istituto parlamentare ne determina l'impoverimento e, con esso, il crescente distacco dell'opinione pubblica dalle istituzioni. Ha scritto Andrea Manzella, uno dei maggiori costituzionalisti italiani, in epoca non sospetta, vale a dire senza uno specifico riferimento al governo gialloverde, che non era ancora in carica al momento in cui egli faceva queste affermazioni, che "chi ha potuto usare il governo contro il Parlamento lo ha fatto imponendo un uso assolutamente riduttivo delle Camere, il solo luogo dello Stato centrale usufruibile anche dall'opposizione e quindi da contenere: ad ogni passo, ad ogni richiesta di informazione, ad ogni iniziativa di controllo". Ma perché ci è dato ora assistere a questa sorta di "gioco al massacro" delle istituzioni? Il fatto è che, divise su tutto, le due forze di governo convergono su un obiettivo tutt'altro che secondario: quello di mutare dalle fondamenta il sistema politico del nostro paese, trasformandolo da una democrazia rappresentativa in una democrazia diretta. Siamo personalmente convinti che il sistema scelto dai padri costituenti sia il migliore, ma la situazione nella quale attualmente ci troviamo è la peggiore. Allo stato, infatti, l'Italia non è né carne né pesce poiché è stato portato a compimento il processo di svuotamento del Parlamento, ridotto a una specie di simulacro, mentre la democrazia diretta è ancora al palo, meta di ambizioni di potere e - oseremmo dire fortunatamente - rimaste irrealizzate. Ecco perché, per uscire dalla crisi politica e istituzionale che l'Italia attraversa, sarebbe auspicabile che una forza politica scegliesse come uno dei punti qualificanti del proprio programma, la riscoperta del Parlamento, dei suoi valori, delle sue funzioni. Si tratterebbe di una sfida esaltante, tesa a porre un argine alla deriva verso la quale, capitanati da Salvini, ci stiamo avviando.