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Serve un piano Marshall per il Mezzogiorno

Opinionista: 

Le impietose analisi statistiche del rapporto Svimez non lasciano adito a dubbi o a interpretazioni. Siamo dinanzi a un vero e proprio crollo economico, sociale, occupazionale, demografico. C’è poco da discettare, la catastrofe è spietatamente messa in evidenza dai numeri. Quelli che maggiormente testimoniano la china ormai inarrestabile della crisi del Sud sono quelli relativi al calo demografico – ed è questo il dato che più degli altri consente di parlare, senza che ciò sembri eccessivo, di processo di desertificazione. I nati nel corso del 2014 sono stati soltanto 174.000, il dato più basso nei 150 anni dall’Unità d’Italia ad oggi e gli analisti prevedono che, se questo restasse il trend, entro cinquant’anni il Sud sarebbe destinato a perdere oltre 4 milioni di abitanti. Non va certo meglio se si passa ai numeri che riguardano l’occupazione: gli occupati nel Sud al 2014 sono poco meno di 6 milioni, dato che ci riporta ai livelli del 1977; mentre il tasso di disoccupazione è al centro-nord del 9,5% e al sud sale al 20,5%; e ancora, nel 2014 i nuovi posti di lavoro sono cresciuti solo al nord di 133.000 unità, mentre al sud vi è stato un calo di 45.000 posti. Ma il dato più indicativo della crisi profonda del meridione - una crisi che ha travolto come uno tsunami l’Italia e che è stata aggravata dalle politiche recessive dei governi italiani e dalle ricette europee - è quello che riguarda il numero delle persone che hanno perso il lavoro tra il 2008 e il 2014: sul dato nazionale di 811.000 unità ben 576.000 sono del Sud. E i dati Istat sulla disoccupazione sono ancora più allarmanti con una disoccupazione giovanile giunta al 44,2% e una disoccupazione generale giunta al 12,7%. Anche il capitale umano sta subendo al sud un processo di gravissimo impoverimento, testimoniato dall’emigrazione di tanti cervelli in formazione o già formati che preferiscono spostare a nord il loro impegno nello studio e nella ricerca, contribuendo in tal modo a collocare gli atenei meridionali in coda alle classifiche più o meno credibili che imperversano in questi giorni. Né il discorso muta se si guarda al reale pericolo di veder condannare il Meridione ad una situazione di perenne ed irreversibile condizione di sottosviluppo (peggio della Grecia, si è detto, dimenticando che non è solo il sud in questa situazione, ma l’intero paese), vista la crisi del settore industriale e manifatturiero. Si dirà che ogni anno, quasi fosse un rito a cui non si sfugge, si snocciolano cifre e grafici per dirci che il divario tra sud e resto d’Italia (per non parlare dell’Europa) aumenta sempre più. Ma stavolta si profila uno scenario di estrema gravità e cioè che il solco può diventare incolmabile, non consentendo al sud di agganciare fosse pur l’ultimo vagone della ripresa economica nazionale (sempre che essa realmente si verifichi). Se poi si guarda ai dati della Campania, il quadro è ancora più fosco. Nella nostra regione vi è una percentuale di rischio povertà che è al 37% e nell’ultimo decennio vi è stata una riduzione del Pil di oltre il 10%. Viene ora subito spontanea la domanda: ma questi dati drammatici sono tutti riconducibili alla congiuntura economica, alla crisi dei mercati finanziari, alle cosiddette bolle speculative? O su essi hanno pesato anche le responsabilità dei governi degli ultimi anni che hanno volutamente abbandonato il Mezzogiorno a un destino di sottosviluppo e di miseria? La drammaticità della situazione, tuttavia, deve indurci a mettere da parte le recriminazioni e a pretendere dall’attuale governo un piano straordinario (qualcuno ha parlato di un piano Marshall per il Sud) per lo sviluppo. Pare che il campanello d’allarme sia finalmente arrivato alle orecchie del premier-segretario che ha convocato per i prossimi giorni la riunione della direzione del Pd. Bisogna subito impostare e realizzare un programma di investimenti pubblici e privati che ridiano centralità produttiva all’economia meridionale, investimenti stanziati non solo dal governo italiano, ma anche dalle istituzioni europee, giacché, come qualcuno ha detto, il sud italiano è come e peggio della Grecia. Ma anche le istituzioni locali del Sud devono fare la loro parte, devono innanzitutto aprire il fronte contro la burocrazia parassitaria e corrotta, devono far partire progetti e ridare funzionalità e risorse ai servizi primari, devono utilizzare i fondi europei e aprire nuove occasioni di lavoro che diano ossigeno e un barlume di speranza nel futuro a tanti giovani disperati che o emigrano o ingrossano la manovalanza della criminalità. I primi atti e proponimenti dei governatori De Luca ed Emiliano sembrano muoversi in questa direzione. Perciò essi hanno bisogno del consenso più ampio possibile, dentro e soprattutto fuori delle istituzioni, per mostrarsi controparte fattiva e collaborativa con chi al centro può e deve decidere sulle sorti del Sud. Insomma, o il problema meridionale si avvia a soluzioni drastiche e non più rinviabili o le cronache saranno piene, come già lo sono, di persone che si tolgono disperati la vita o di bambini che muoiono di denutrizione e di stenti, com’è avvenuto qualche giorno fa in un paese della provincia di Salerno.