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Trump, i palestinesi e i timori dell’Italia

Opinionista: 

Il prezzo dell’appoggio degli Stati Uniti all’Arabia Saudita nel suo confronto per l’egemonia in Medio Oriente contro l’Iran lo pagheranno i palestinesi. È questo il dato politico che emerge dalla decisione di Trump di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele, che si inserisce nel più ampio scenario che vede in questi giorni la nascita di un’alleanza a tre Washington-Riad-Gerusalemme, fatalmente contrapposta all’asse Russia-Iran-Hezbollah- Assad, consolidatosi con la vittoria contro l’Isis in Siria. Nell’ultimo anno, infatti, l’Arabia Saudita è stata costretta a battere in ritirata su vari fronti, dopo aver, spesso in modo spregiudicato, tentato di ampliare il proprio raggio di influenza, approfittando anche del caos determinatosi con il susseguirsi delle cosiddette Primavere Arabe. Un po’ di respiro era stato dato ai sauditi da Trump in occasione del viaggio eseguito lo scorso maggio, allorché era stata concordata la colossale fornitura di armi del valore di 110 miliardi. In quell’occasione, però, l’inquilino della Casa Bianca aveva soprattutto sancito una posizione molto chiara da parte della potenza americana, sia di contrasto duro nei confronti di Teheran, sia di sostegno al nuovo corso inaugurato dal nuovo uomo forte del regno saudita, il trentaduenne successore al trono Mohammed bin Salman, impegnato in un vero e proprio repulisti ai danni della vecchia nomenclatura. Le conseguenze di quel viaggio sono state dirompenti: da una parte è stata sancita la spaccatura violenta di Riad e dei suoi alleati contro il Qatar e la Fratellanza Musulmana; dall’altra è scattato, quasi automaticamente, un avvicinamento, solo in parte inedito, tra Israele e Arabia Saudita. L’ampia apertura di credito accordata da Donald Trump ai vertici sauditi, lo ha verosimilmente fatto sentire libero di ufficializzare una posizione politica, rispetto alla pluridecennale questione palestinese, che è sempre stata nelle corde delle varie amministrazioni americane, ma che fino ad oggi era sempre stato ritenuto inopportuno esplicitare. La politica mediorientale di Trump, per quanto legittima, rischia di incendiare nuovamente il mondo arabo e il Mediterraneo. Oltre alla prevedibile reazione palestinese all’umiliazione subita, probabili ripercussioni si avranno in Libano. Le dimissioni prima annunciate, poi ritirate, con l’annesso misterioso soggiorno a Riad, del premier Saad Hariri, sono solo il prodromo di un possibile ritorno della conflittualità tra le varie fazioni nel paese dei cedri. Il malcelato desiderio di Israele di impartire una lezione all’Hezbollah sciita, potrebbe essere la miccia capace di destabilizzare nuovamente il Libano. La storia ci insegna quanto possa essere deflagrante per tutto il quadro geopolitico un ritorno in grande stile della violenza in quei territori. Il rammarico è che tutto questo vada sviluppandosi proprio nel momento in cui sembrava fosse possibile restaurare un minimo di ordine nel Mediterraneo e in Medio Oriente, in seguito alla vittoria di Assad e dei suoi alleati in Siria. E “ordine e pace” sono due fattori geopolitici essenziali per il presente e il futuro del nostro paese, che dalle nuove contrapposizioni innescate da Trump ha tutto da perdere: dalla sospensione della riapertura delle relazioni economiche e commerciali con Teheran, alla delicata situazione in Libia dove il nostro governo ha scelto di interloquire con il premier al Serraj, considerato vicino alla Fratellanza Musulmana; senza contare che l’Italia per forza di cose non può non considerare con preoccupazione, per ragioni storiche, culturali e politiche, un riesplodere virulento del conflitto per il controllo dei Luoghi Santi.