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Un ingorgo di furbate mina la “ricostruzione”

Opinionista: 

Tra i riferimenti più citati per orientare al meglio la ricostruzione, fronteggiare una crisi epocale, causata dalla pandemia del Coronavirus, svetta il modello virtuoso e vincente del dopoguerra: lungimiranza dei governi, forza morale e operativa degl’Italiani. Il primo a ricordarlo è stato il presidente Mattarella, indicando l’esemplarità di quel periodo,cui guardare per poter meglio raggiungere gli obiettivi auspicati. Considerata però la inadeguatezza genetica del governo M5S –Pd nel suo insieme, a cominciare da chi lo presiede, giova ricordare, ancora una volta, la lezione di De Gasperi. Il protagonista di una rinascita memorabile, che pose in cima ai suoi programmi la collaborazione indispensabile del mondo produttivo. “Senza la quale - disse al suo stesso partito e a quelli che lo sostenevano ma dissentivano - un Paese in ginocchio non può rialzarsi. Questo mondo ha le leve dell’economia e crea la ricchezza fonte di lavoro”. Non diversamente negli anni Trenta la pensò il Presidente degli Stati Uniti Roosevelt, artefice del New Deal, di una svolta storica contro disoccupazione e depressione, che eliminò sostegni effimeri, sul tipo degli odierni bonus e interventi a pioggia di Conte, e puntò tutto sull’aiuto strategico alle imprese e quindi a creare posti di lavoro: certezze non precarietà. Purtroppo la Storia, cui spesso Conte si appella attendendosi giudizi più lusinghieri sul suo operato, non ha insegnato nulla al premier, incapace di creare un’intesa, una sintonia con il mondo imprenditoriale, nella fattispecie Confindustria, per una collaborazione seria e decisiva nella ricostruzione, ancora al palo. Prova regina di un premier ormai senza bussola, alle prese con un mare di guai, di cui si è reso in larga parte responsabile, avendo assommato in sé tanti poteri, infischiandosene della collegialità e addirittura “stropicciando”, in molti casi, la Costituzione. Accecato da un neostatalismo da irriducibile Stato-Padrone, la cui deleteria esperienza del passato conclusasi con bancarotte a catena e elargizione di strenne diffuse con i soldi dei contribuenti, stenta ancora a valutare con favore il mondo produttivo. Non da meno nel perseguire il peggio, sono i due maggiori referenti di una maggioranza in bilico, Di Maio e Zingaretti. Mentre si attende ancora di vedere qualche segnale incoraggiante sulle prime mosse della cosiddetta ripartenza, da loro sollecitata in evanescenti appelli soltanto per crearsi alibi, nei fatti si sono infilati e hanno infilato il Paese in un ingorgo politico istituzionale senza precedenti. Preconizzato e denunciato da 183 illustri costituzionalisti che hanno rimarcato l’azzardo del referendum sul taglio dei parlamentari, destinato a complicare la vita istituzionale e a sguarnire i territori di adeguati riferimenti centrali. Ci riferiamo alla loro recentissima intesa, una sorta di baratto, costituito dal sì di Zingaretti alla riforma, cavallo di battaglia storico della insultante antipolitica dei grillini e, in cambio, del rinnovato impegno di Di Maio, di favorire ad horas, almeno in prima lettura, l’iter di una legge elettorale proporzionale addirittura da far nascere in pochi giorni, prima del voto del 21 e 22 settembre. A parte la follia nel pensare di liquidare un tema così delicato come se fosse una “comparsata da piattaforma” innominabile, solo la disarmante sprovvedutezza di Zingaretti può pensare che un Movimento, capace di rimangiarsi in un anno quanto predicato nelle piazze e nei fondachi, possa rispettare la parola data. Quando si arriva a certe estremizzazioni, a veri strappi costituzionali, continuando a godere di privilegi del potere, in precedenza osteggiati e villaneggiati, c’è solo da sperare che le basi dei rispettivi partiti e movimenti si ribellino, come pare stia accadendo, a coloro che si arrogano il diritto di decidere per gli altri. Dopo aver fatto del popolo vilmente un arido stendardo, di questo passo è a rischio anche la ricostruzione.