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Una città sfiduciata e il vuoto alle urne

Opinionista: 

Domenica scorsa in una nostra nota sulle elezioni suppletive nel collegio uninominale Napoli-Arenella, apparsa in prima pagina su queste colonne, ci chiedevamo: “Napoli, è l’ora della verità/ Per Pd-Dema e Ruotolo”. Questa coalizione, creatasi per la circostanza, con l’apporto aggiuntivo di Leu e Italia Viva, giova ricordare  che, nelle intenzioni dei promotori, era destinata in futuro a moltiplicarsi, qualora l’esito del voto si fosse rivelato incoraggiante. Oggi, dopo i risultati delle elezioni, c’è una verità.  Ma non è quella sperata dal trittico appena detto, anche se il candidato ufficiale Ruotolo è stato eletto senatore. La verità, amara e sorprendente emersa dalle urne, è altra: è che Napoli è una città sfiduciata, nauseata dalla politica locale, nazionale, internazionale e planetaria. A dirlo non siamo noi, ma il quadro netto, inconfutabile del voto, cifre alla mano. A meno che non si voglia essere dei cinici o non voler vedere la realtà per quella che è. Quando da un elettorato, composto da  6  municipalità e 14 quartieri di circa 357mila elettori, va alle urne solo il 9, 52% degli aventi diritti e viene  eletto un senatore con 16 mila 243  preferenze, il 48, 45% dei votanti, c’è molto da riflettere, per non dire altro.  A maggior ragione se si ardisce a voler far apparire il dato come un esito plebiscitario, arrivando a sostenere addirittura che oscurerebbe  i trionfali primati  di Achille Lauro.  Visto che la improntitudine può arrivare a tanto,  giusto rinfrescare la memoria e molto altro.   Alle amministrative del 27 maggio del 1956, il comandante Lauro, candidato sindaco di Napoli, ebbe circa 300mila voti dei 700mila votanti, il 51, 80%. Questo sì che fu un consenso plebiscitario, tributatogli da una città, riconoscente per quanto egli aveva fatto. Allora “il fenomeno Lauro” varcò i confini del Paese per la portata del suo trionfo; oggi con il rispetto sempre dovuto anche a un solo voto, che conta tanto in democrazia, l’effetto Ruotolo è invece la cartina di tornasole di una disaffezione crescente e collettiva, da considerare improponibili certi confronti. Nel momento in cui l’astensionismo ha sfiorato il picco del 91 %, razionalmente, prima che automaticamente, risulta molto chiaro che ad essere del tutto assente da questa consultazione  è stata la città. Un dato  che non  occorre essere acuti osservatori per giudicare  come una sconfitta per chi l’ha amministrata. Neanche ai tempi post-unitari dei sistemi elettorali cosiddetti “ristretti”, di quello successivo “censuario” del 1912, in cui si poteva votare in base al proprio reddito e le donne erano ancora escluse dal voto, accordato poi solo nel 1945, si ebbero afflussi alle urne così striminziti, per giunta decisi per legge. Per meglio però evidenziare gli aspetti più raccapriccianti sul voto di domenica, c’è da aggiungere che la sperimentazione tradisce proprio colui che se n’era fatto il paraninfo, il mediatore de Magistris, il cui contributo elettorale è stato ininfluente. Il Pd se n’è accorto e già lavora a farlo meglio percepire.   Un sindaco di Napoli, verso la fine del suo “consolato”, che non è riuscito a caratterizzare la vittoria di Ruotolo, di cui in campagna elettorale si è detto il “princeps dei sostenitori” e ora si danna nel volerlo provare, contro ogni dato che gli è contro, diventa il vero caso di questa consultazione suppletiva . Ruotolo, pur se sbattuto di là e di qua, può rivendicare un consenso personale, minimo ma suo. La sperimentazione già gracile, ora è nuda.  Meglio tacere delle opposizioni, che si stanno spaccando su “tesoretti elettorali”, ormai perduti: da Carfagna a Caldoro.