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È una maggioranza solo sul piano giuridico formale

Opinionista: 

Alla fine il referendum si terrà. Nei giorni scorsi pare fossero venute e mancare le firme dei parlamentari necessarie per convocare i cittadini a ratificare la riforma costituzionale che ha ridotto di circa un terzo il numero dei parlamentari componenti la Camera dei Deputati ed il Senato della Repubblica. A salvare il richiamo al voto è stato un soccorso leghista, nel senso che sei parlamentari di quel partito hanno sottoscritto la richiesta di referendum, dalla quale si erano invece ritirati altri colleghi prima firmatari. La spiegazione di questa scelta, che va contro precise e precedenti prese di posizione di Salvini stesso, l’ha fornita proprio il leader leghista. In realtà, promovendo il referendum, Salvini intende favorire lo scioglimento del Parlamento. E questo perché se dovrà sottoporsi alla conferma degli italiani la riforma costituzionale voluta soprattutto dal M5S ed appoggiata dalla Lega, le elezioni che dovessero svolgersi in antecedenza o in concomitanza del referendum, continuerebbero ad eleggere la nutrita schiera di parlamentari oggi prevista, poco meno di mille, e non quella d’un terzo inferiore, effetto della riforma costituzionale. Cosicché un po’ tutti avranno presumibilmente interesse a tornare alle urne – per tornare in Parlamento – e non sarebbe difficile far mancare alla maggioranza governativa, già da sé assai precaria, i voti necessari a mantenersi in vita. Sembra un qualcosa d’assai tortuoso, ma le cose stanno proprio in questi termini ed è merito di Salvini l’averlo detto a chiare lettere. Non merito suo, però, una così grave strumentalizzazione d’istituti costituzionali e mezzi della democrazia. Il richiamo al voto popolare per la ratifica di modifiche della Costituzione è uno degli istituti conservatori dei quali la nostra Costituzione è piena, questo previsto al suo articolo 138. Com’è molto noto, i cosiddetti padri costituenti provenivano dall’esperienza del fascismo e temevano torsioni autoritarie, in un Paese che aveva dimostrato tendenze in quella direzione abbastanza spiccate, coprendo l’uomo Mussolini d’uno straordinario ed indiscusso consenso (perso solo in ragione dei capovolgimenti bellici). Cosicché, la nostra carta costituzionale si caratterizza per essere singolarmente piena di “pesi e contrappesi” e soprattutto per non collocare il potere decisionale ultimo in nessuna delle sue istituzioni. Non molto altro significa la “centralità del Parlamento” della quale continuamente si favoleggia: centralità di un’istituzione che per sua natura è del tutto inetta a decidere alcunché. Ora, per proteggere simile impianto da possibili modifiche in senso decisionista (o autoritario, se si vuole) i costituenti disseminarono varie procedure e vincoli, tra i quali, non ultimo, il possibile richiamo di ogni riforma costituzionale al voto popolare: nella perfetta coscienza che il conservatorismo tipico delle masse (salvo che in particolari congiunture) è ottimo alleato di chi rifugge il cambiamento. E qui è il punto. Strumentalizzare un simile istituto (quello del referendum popolare) per finalità che ad esso sono del tutto estranee e cioè per ottenere quelle elezioni che il Presidente della Repubblica non ha concesso – e dirlo anche a parole chiare – è sul piano costituzionale azione d’una certa gravità. Perché gli istituti costituzionali non dovrebbero essere manipolati; perché questo può produrre l’ennesimo stallo di un tentativo di svecchiamento dell’elefantiaco apparato politico italiano, tetragono ad ogni modifica ed incapace d’ogni efficienza; perché ogni strumentalizzazione a quei livelli crea conseguenze imprevedibili. La vicenda del referendum sulla riforma renziana non ha ancora cessato di produrre i suoi nefasti effetti sull’attualità politica, come vediamo. Ma va anche detta un’altra cosa. Se la politica di Matteo Salvini denuncia una certa qual spregiudicatezza ed una scarsa cura delle regole del gioco, a questo il leader leghista è stato portato dalla non minore spregiudicatezza dei suoi competitori politici. L’attuale governo è il frutto d’un repentino, opaco e del tutto innaturale accordo di palazzo, consumatosi all’ombra della centralità del Parlamento, che in realtà ad esso è rimasto del tutto estraneo, mentre a quel che sembra sono stati condiscesi desiderata di cancellerie internazionali. La maggioranza sulla quale fonda, è maggioranza soltanto sul piano giuridico formale, dato che non esprime alcuna intesa di programma e sta conducendo di conseguenza il Paese verso l’immobilismo, con danni per noi feroci e duraturi come, solo per far l’esempio più recente tra i mille possibili, la vicenda della Libia, dove ci dimostriamo incapaci d’ogni iniziativa d’un qualche effetto. Questo Governo non si sarebbe dovuto far nascere. Ed allora, se Salvini sta conducendo il proprio gioco in modo assai poco condivisibile sul piano costituzionale, è anche vero che egli è un leader di partito, non un uomo che ricopra cariche istituzionali. Altri sarebbero lì a garantire il rispetto della costituzione e non mi pare se ne siano dati tutta la necessaria cura, con le conseguenze – tra le altre – che qui ho segnalato.