“Educazione e disinformazione ai tempi del coronavirus” è il corso che il Prof. Mario Caligiuri ha tenuto per cattedra di pedagogia della comunicazione all’ interno del corso di laurea magistrale in Scienze Pedagogiche del Dipartimento Culture Educazione e Società dell’Università della Calabria.

Mario Caligiuri, titolare della cattedra di pedagogia della comunicazione, ha ricordato che ad ottobre 2019 all’ inizio dell’anno accademico era stato individuato come tema dell’insegnamento la società della disinformazione, della quale adesso l’interpretazione e la comunicazione del coronavirus ne può essere considerata l’espressione più piena. Infatti, per il docente «l’eccesso ingestibile delle informazioni che ogni giorno ci investono unitamente al basso livello di istruzione e di competenze tecniche crea un corto circuito cognitivo che impedisce la comprensione della realtà. Appunto per questo, la chiave della pedagogia è più fondamentale che mai, in quanto questa necessaria e doverosa trasmigrazione forzata all’ insegnamento on line indebolirà ulteriormente le competenze,soprattutto nelle scuole di base. L’emergenza del coronavirus ci è sembrata un’occasione per approfondire i temi centrali della disinformazione e dell’educazione, che sono strettamente collegati. In questo percorso formativo ci siamo immersi nell’ acqua che scorre per capire dove sta andando la corrente. Che capiremo quando approderemo alla riva».

Sulla scorta di questa premessa, l’ intervista al prof. Caligiuri ci permette di approfondire alcune linee sulle quali la nostra professione di comunicatori e professionisti dell’ informazione potrebbe muoversi, in questo periodo.

Qual è, a suo avviso il nuovo paradigma della corretta informazione? 

«Non quella che si sta facendo adesso che inonda le persone di informazioni irrilevanti imprendendo la comprensione di quello che ci circonda. La realtà sta da una parte e la percezione pubblica della verità esattamente dall’ altra. Stiamo assistendo alla manifestazione evidente della società della disinformazione, che si materializza con la dismisura dell’informazione da un lato e il basso livello sostanziale dell’istruzione dall’altro, creando un corto circuito cognitivo».

Mutamento sociale è uno dei lemmi più ricorrenti. Quale società stiamo raccontando e quale dovremmo raccontare?

«Mutamento sociale significa tante cose. In quanto ad abitudini, è evidente. Occorreranno temo un pio d’anni per ritornare alla precedente normalità. Per quanto riguarda i cambiamenti nelle Istituzioni e a livello organizzativo si verificherà un’accelerazione dell’informatizzazione. Nell’ambito dei rapporti di potere potrebbe esserci qualche variazione imprevedibile ma ciò che è più probabile è un rafforzamento dello status quo, che prescinde dalle persone, poiché nelle democrazie maggioranza e opposizione sono, nella sostanza delle cose, perfettamente intercambiabili».

Quali sono, a suo avviso, i nuovi strumenti educativi di cui le Istituzioni, tutte, dovranno farsi carico?

«Servivano già prima cambiamenti strutturali ora resi più evidenti. Tranne il vernissage dell’ e-learnig e della distanza sociale nelle aule, tutto resterà come prima . Almeno in Italia. È questa la mia opinione, perché ogni cambiamento passa attraverso le scelte politiche e non mi sembra di vedere al momento visioni e progetti in questa direzione».