Il coraggio di rompere gli schemi ma anche lo stupore per essere riuscita a farcela, unito alla felicità e all’orgoglio per aver raggiunto un obiettivo inimmaginabile. C’è tutto il suo straordinario percorso di donna e di atleta nel bel libro firmato da Mariafelicia Carraturo (nelle foto): “Il risveglio di Partenope” (Guida). L’autrice è un’apneista: si immerge nel mare e vi si inabissa, senza bombole di ossigeno, contando esclusivamente sulla propria capacità di trattenere il fiato. Due anni fa ha omologato il record mondiale di apnea con la monopinna, scendendo a 115 metri di profondità in 3 minuti e 4 secondi con quasi 13 atmosfere di pressione. Un talento sportivo come tanti, dunque? Niente affatto, perché Mariafelicia, che sta per festeggiare il mezzo secolo di vita, ha cominciato ad allenarsi soltanto 10 anni fa, dopo la separazione, quando i familiari, gli amici e la società tutta non facevano che ripeterle: “Ma chi te lo fa fare?”. Lei però era determinata nel voler colmare quel senso di insoddisfazione che la tormentava. «Se accendi la tv - dice - sembra che a quarant’anni sia finita, devi passare i tuoi giorni a riempirti di crema antirughe». Invece Maria Felicia aveva un’altra idea: « La mia molla è stata la curiosità. Prima di tutto di vedere chi ero e cosa ero in grado di fare. E poi anche di andare a toccare e mettere le mani in cose nuove». Il corso di apnea lo ha iniziato quasi per caso, su proposta di suo fratello pescatore, per riempire le giornate in cui i due figli piccoli erano affidati al padre. È lì che si è resa conto di potersi cimentare con i più grandi: «Ho constatato che ero veramente brava, ma in modo naturale, senza sforzo. Allora mi si sono accese le lampadine: figuriamoci se mi allenassi cosa potrei fare, mi sono detta. Ho chiuso il mio primo corso di apnea toccando facilmente 31 metri di profondità. Un risultato incredibile per una semplice allieva, se si considera che 30 metri è la quota richiesta per diventare istruttore». È la svolta. Capisce che allenarsi in una disciplina sportiva significa rimettersi in gioco come persona, prima ancora che come atleta: «Ho ricominciato a viaggiare da sola come facevo da ragazza: a fare la valigia, a caricare l'attrezzatura e andare all’estero per i primi allenamenti e quindi durante la mia prima vacanza da single ho incontrato una persona che si è accorta subito che ero molto brava in acqua e che si è proposta per allenarmi. E così mi ha aperto un mondo». La vita è anche questione di incontri, ma se non si esce dal proprio guscio si rischia di non incontrare nessuno: «Il merito che mi ascrivo è quello di aver colto i segni, le opportunità - ammette onestamente - Nel corso della mia vita si sono presentate delle persone che si sono incastrate fra loro in maniera quasi perfetta, quasi magicamente. Ma devi essere anche tu aperta ad accoglierle». Soppesa le parole, scegliendole con cura: «Credo che le opportunità si presentino un po’ a tutti. Però siamo così inquinati, condizionati, stressati che non le vediamo». A sentirla raccontare, così serena davanti al mare, pare che le difficoltà le siano scivolate addosso in maniera indolore. Possibile che le sia andato sempre tutto liscio? «Ci sono stati momenti difficili, in cui mi dicevo “ma che vado a fare”. Però c’era sempre qualcosa che mi spingeva a proseguire, una specie di forza interiore che non mi ha mai abbandonato». È consapevole della sua forza, la Carraturo, ma non se ne vanta. La semplicità con cui parla dei suoi primati è davvero sorprendente. Insomma è una che non si è montata la testa perché, lo sostiene con una modestia spiazzante, in lei la capacità nell’apnea si è sviluppata quasi naturalmente: «Ho avuto la fortuna che i miei limiti coincidessero con limiti da record». Ci tiene però a sottolineare che quei limiti si è impegnata a superarli: è questo che considera il suo vero successo. Un concetto che ama trasferire ai ragazzi quando la invitano nelle scuole: «Tutti quanti noi nella vita abbiamo successo nel momento in cui miglioriamo noi stessi. Ogni volta in cui riusciamo a fare un pochino meglio di prima. Dirò di più: il valore di quello che stai facendo è assimilabile al successo anche se non hai superato l’assicella ma hai dato il massimo». Il successo e l’impegno vanno di pari passo con la responsabilità: «Pratico uno sport fortemente individuale però il successo del singolo è frutto del lavoro di un team. Personalmente, quando partecipo a una competizione, mi sento molto responsabile perché il mio successo è quello della squadra che mi segue per la sicurezza, del mio allenatore, dello sponsor». Se l’impegno è personale e la responsabilità è sociale, quando Mariafelicia parla della concentrazione necessaria ad affrontare l’abisso marino, entra nella sfera spirituale: «Il tuffo, così si chiama la prova dell’apneista, è una sorta di meditazione in cui io fermo la mente. Questa è stata la parte più bella del mio allenamento: il percorso mentale. Per scendere velocemente in profondità ho un lavoro molto impegnativo da svolgere: tenere sempre le orecchie compensate e contemporaneamente rilassarmi. La mia mente deve essere vuota, insensibile ai segnali della paura perché, se mi irrigidissi, la pressione, che aumenta incessantemente, mi provocherebbe dolori fortissimi allo sterno; inoltre devo gestire la glottide, il palato molle e l’aria che ho in bocca. Devo essere concentrata esclusivamente sul corpo, sul qui e ora». E così, immersa nell’eterno presente del suo stare al mondo, questa donna minuta scivola a colpi di pinna nell’abisso, infischiandosene del perbenismo e della paura mentre tiene a bada le leggi della fisica e della fisiologia. Cosa trova laggiù? Il silenzio assordante dell’assoluto. Lo stesso che c’è nella sua anima. Ci vuole fegato, certo. Ma lei è convinta che «chi ha il coraggio di toccare il proprio abisso è pronto a volare».