NAPOLI. Omicidio del cutoliano Espedito Ussorio, dopo oltre trent’anni di silenzi e misteri si avvicina il momento della prima verità giudiziaria. A fine mese si ritroveranno alla sbarra i fratelli boss Giuseppe, Domenico e Carlo Lo Russo, con quest’ultimo transitato dal 2016 nella fila dei collaboratori di giustizia: tutti sono a vario titolo accusati di aver preso parte al vecchio delitto maturato sull’asse con il clan Licciardi di Secondigliano.

Lo sprint ha preso corpo ieri con il provvedimento del presidente dell’ufficio Gip del tribunale di Napoli, il quale ha disposto la riunificazione del procedimento che vedeva protagonista soltanto Giuseppe Lo Russo, difeso dall’avvocato Antonio Abet, reduce dal precedente annullamento del Riesame sulle esigenze di custodia cautelare. I tre ras dei “Capitoni” hanno chiesto e ottenuto di essere giudicati con il rito abbreviato: una mossa pressoché obbligata per sperare di provare a spuntare un eventuale sconto di pena. Il processo di primo grado inizierà con gran parte delle “carte” già sul tavolo della pubblica accusa e del giudice.

Se è vero infatti che la posizione di Carlo Lo Russo è chiara da tempo - con le sue rivelazioni ha infatti contribuito a risolvere il caso - anche Giuseppe Lo Russo nei mesi scorsi ha dato a suo modo un contributo non trascurabile: il boss di Miano ha infatti non soltanto ammesso gli addebiti, ma con una lunga e circostanziata lettera ha anche deciso di prendere le distanze dai propri trascorsi di malavitoso. Una piena dissociazione, che ha destato non poco clamore negli ambienti criminali di Napoli: Giuseppe Lo Russo, al netto di Domenico che però ha sempre avuto un ruolo minore nel clan, è infatti l’unico dei fratelli ras che non ha mai voluto collaborare con la giustizia.

Quanto all’accusa di cui i tre imputati eccellenti dovranno rispondere, vale la pena ricordare che le indagini erano arrivate a un punto di svolta nell’aprile dello scorso anno. Espedito Ussorio era un ex cutoliano di ferro e la sua presenza a Secondigliano, allora sotto la comune influenza dei Licciardi e dei Lo Russo, dava fastidio al boss Gennaro Licciardi “’a scigna”. Capoclan (poi deceduto per cause naturali) spietato, che diede l’ordine di eliminarlo.

Era il 18 ottobre 1989 e la giustizia, lenta ma inesorabile, era comunque arrivata: uno dei mandanti, Giuseppe Lo Russo, e uno degli esecutori materiali, il fratello Domenico, avevano ricevuto in carcere, dove si trovano già detenuti per altri reati, un’ordinanza di custodia cautelare per l’omicidio, avvenuto sotto gli occhi del figlio 13enne della vittima. A risolvere il cold case, con il coordinamento della Dda, sono stati i poliziotti della sezione Omicidi della Squadra mobile. Secondo l’accusa, Giuseppe Lo Russo e Gennaro Licciardi diedero l’ordine di morte mentre l’agguato fu materialmente eseguito da Gennaro Sacco che sparò con l’aiuto di Ettore Sabatino, Domenico Lo Russo che ebbe il ruolo di “specchiettista” e Carlo Lo Russo, che guidava invece lo scooter utilizzato per la fuga del comando. Sabatino e “Carlucciello”, entrambi rei confessi, sono poi diventati collaboratori di giustizia In particolare è risultata importante la comparazione tra le dichiarazioni dei pentiti e la testimonianza dell’allora minorenne, il quale confermò che il padre zoppicava, circostanza in precedenza descritta anche dai pentiti che hanno contribuito allo sviluppo dell’inchiesta. Qualche mese dopo l’arresto, Giuseppe Lo Russo ha infine deciso di ammettere il proprio coinvolgimento nella vicenda.