In mezzo all’erba, sotto gli alberi, nei vasi grigi delle nicchie, si scorgevano pennellate bianche, d’oro, di porpora; sopra la sua testa gli alberi erano rosa e bianchi, e ovunque si udivano battiti d’ali, suoni flautati, ronzii, dolci profumi”. È una frase tratta dal libro per ragazzi “Il Giardino Segreto” di Frances Hodgson Burnet che narra di una bambina orfana, affidata a uno zio e costretta a vivere in un tetro castello. Ma scopre, grazie a un pettirosso che la guida, un giardino abbandonato dove conoscerà la gioia di contemplare, con una manciata di semi e la cura delle piante e del terreno, la meraviglia della vita che rinasce. Poi, la gioia dei colori e dei petali, del volo di insetti e degli uccelli che popolano questo mondo fiabesco si trasmetterà al cuginetto malato che guarirà dalla sua infermità.

Chi ha letto questo libro scritto nel 1910 o ha visto il film (esiste una versione del 1949 e una recente del 1993) ha coltivato di certo il desiderio di poter aprire quel cancelletto come fa la bimba Mary Lennox, per meravigliarsi di vedere spuntare dal terreno dei teneri germogli che diventano forti e rigogliosi, ripopolando un’area brulla trasformata nella meraviglia del Creato, con fontana zampillante e altalena tra i fiori, un coniglio e un cerbiatto che saltellano tra l’erba e il sole che filtra tra i rami. Ebbene, dietro a un cancello che sembra l’ingresso privato di una villa, in un paese in provincia di Benevento, del quale nulla riesce a richiamare l’interesse di un visitatore, c’è proprio tutto questo: “Il Giardino Segreto” tanto desiderato. Il luogo è Airola, a 265 metri sul livello del mare, nel cuore della Valle Caudina.

L’autore di una meraviglia che si estende su quasi 14mila metri quadrati, aprendosi in “stanze” di paesaggi botanici diversi, è un architetto paesaggista di 48 anni, Giovanni Ianniello, che ha convertito la passione per i progetti di case, ponti e palazzi, in estro per edificare meraviglie con quelli che lui chiama “mattoni viventi”. «Il giardino nasce 30 anni fa… e lo sto costruendo ancora. Quando ho iniziato - confida l’architetto della natura - non pensavo di aprirlo al pubblico. Era il “mio giardino”… Mi piaceva ricostruire qui i paesaggi che avevo esplorato nei tanti viaggi, in giro per il mondo. E quindi ho cercato di riprodurre in questo luogo, come un esercizio di stile, un’estetica per gli esterni».

E poi?

«A mano a mano che procedevo, vi inserivo nuove piante, creavo nuovi ambienti. Ed ora è un parco didattico botanico-zoologico che riproduce diverse tipologie di giardini: da quello all’inglese a quello dei semplici, da quello giapponese a quello cinese, da quello tropicale a quello di cactacee e succulente, fino a quello austrialiano, unico in Italia. E, negli ultimi anni, ho ricreato i 4 biotipi che riproducono i 4 ambienti diversi del Pianeta: si va dalla pampa sudamericana, all’outback australiano, dall’Africa nera alla steppa asiatica. Con numerosi esemplari di collezioni botaniche».

Ma vi ha anche inserito degli animali…

«È che, quando ho avuto il senso di compiutezza, il giardino mi sembrava spoglio».

Ma è incredibile: come spoglio?

«Ho avvertito l’esigenza di popolarlo di animali e ora sono più di 300. A marzo comincia la campagna acquisti e, quest’anno, l’ultimo animale arrivato è la “civetta delle palme” che, contrariamente a quanto farebbe pensare il suo nome, non è un uccello, ma una specie di orsetto lavatore».

Ma quanto impegno richiede “Il Giardino Segreto”?

«Mi assorbe totalmente. Per anni ho dovuto abbandonare la professione di architetto e dedicarmi solo alla cura del giardino. Anche se, con il Covid, è stato necessario chiudere al pubblico e, negli ultimi tempi, sono ritornato a occuparmi della mia professione di architetto».

Il terreno lo ha acquistato lei?

«No, era di mio nonno ed era destinato alla produzione agricola».

Non è stato mai tentato di utilizzarlo per una destinazione più redditizia?

«Qui in paese mi incitavano: coltiva il tabacco… Ma io ho seguito il mio percorso, che è ancora a metà strada. Ora voglio aggiungere arte alla natura: vorrei creare un percorso artistico en plain air, con materiali che possano resistere alle intemperie, oppure green… Provi ad immaginare la sfida di progettare con mattoni viventi, che cambiano lentamente o anche velocemente. E che obbliga a pensare non a quello che si sta facendo in questo momento, ma a come il progetto si realizzerà nei prossimi 5 anni o anche di più. È sempre difficile prevedere esattamente quali forme assumerà. Ed è questo il fascino che mi spinge ad andare avanti».

Chi sono i visitatori che arrivano qui?

«Famiglie, associazioni, club di amanti della natura, gite parrocchiali. Soprattutto dalla Campania, da Napoli. Ma anche dal Centro Italia».

Insomma, lei ha trovato la strada per la felicità…

«No, anzi, sono molto amareggiato. Perché quando i visitatori hanno completato il giro, due ore di visita guidata, mi chiedono sempre cos’altro possono andare a vedere qui intorno. E Airola ha molti “luoghi segreti” che potrebbero essere aperti al pubblico. Si potrebbe puntare su un itinerario storico e artistico, religioso e gastronomico, in chiese, palazzi e monasteri attualmente preclusi al pubblico».

A cosa si riferisce?

«Alla chiesa vanvitelliana che custodisce affreschi di Francesco De Mura, un luogo che viene spesso a visitare Vittorio Sgarbi; al Palazzo Caracciolo con teatro, chiesa e carcere minorile… tutto chiuso. Alla Cappella Carafa, nell’istituto delle Clarisse, mille metri quadrati occupati da 4 suore di clausura che non hanno il permesso di aprire ad alcuno. C’è il santuario del Volto Santo sulla collina di Airola, dove sono custodite le spoglie di Suor Maria Concetta Pantusa, per la quale è avviata la causa di beatificazione, ma nessuno che lo proponga anche per un itinerario religioso. E c’è molto altro. Non ultima, la possibilità di approvvigionarsi di prodotti tipici: vino, miele, funghi, mozzarella che qui lavorano benissimo, e le cipolle di Airola di cui non ci sono punti vendita, bisogna avere la fortuna di sapere chi le coltiva...».

Ha mai ricevuto aiuti per sostenere lo sforzo di tutto il lavoro che richiede il suo “Giardino Segreto”?

«Zero totale. Ci ho tolto del tutto il pensiero. Mi sono arreso. Devo cavarmela da solo. E mi dispiace, perché in questo paese di circa ottomila abitanti, io da solo porto ogni anno più del doppio di turisti…, che alla fine ripiega sulla Reggia di Caserta perché dopo la visita al “Giardino Segreto” non sanno dove andare».

E ora, con la pandemia non riaprirà...

«No, non riaprirò, credo, fino alla prossima primavera…».

Mi rivela un ultimo segreto? Come ha scelto il nome del suo giardino?

«Avevo due idee, chiamarlo “Il Giardino Segreto” come il romanzo di Burnet, oppure “L’isola che non c’è”, perché dalla strada sembra che il cancello d’ingresso di mille metri quadrati apra a una villa privata. Poi, una volta dentro, il percorso assorbe il visitatore in luoghi abitati da 16mila piante diverse, lungo 13mila metri quadrati di intrecci di vegetazione che cambia a mano a mano che si procede. E la mia grande soddisfazione è stata di essere annoverato tra gli 8 giardini più consigliati d’Italia… Sulla scelta del nome ha prevalso “Il Giardino Segreto”».