C’è il gusto della storia narrata senza fretta in cui si ritrova il sapore corposo di certi pranzi della domenica di una volta, nel nuovo romanzo di Rosi Selo. “L’albero di Mandarini” (Rizzoli) è caratterizzato da una scrittura di qualità cui l’autrice approda dopo un lungo periodo di ricerca che l’ha portata a cimentarsi nei generi più vari, dal noir al racconto realistico, fino a maturare un proprio, definito, stile narrativo. E se la trama, che si snoda tra Napoli e Rio de Janeiro nell’arco di sessant’anni, è senza dubbio originale e avvincente, non è su questa che intende soffermarsi la presente riflessione, anche per non sottrarre al lettore il piacere di immergersi piano piano nella lunga vicenda di Maria Imparato e della sua famiglia.

È invece l’uso accorto della tecnica narrativa che ne fa un romanzo interessante, in cui i diversi livelli temporali si intersecano con disinvoltura, senza inficiare la fluidità del racconto. C’è sempre un antefatto cui risalire per dare ragione di un’azione o di un pensiero in una pagina in cui passato e presente si ritrovano sempre, inesorabilmente, abbracciati. Ma se talvolta, il passato ritorna come una persecuzione cui non è possibile sottrarsi, talaltra emerge dall’oblio come ricordo benevolo e rassicurante. È il caso dell’albero di mandarini evocato dal titolo, presenza rassicurante nel mondo infantile ma anche segno di positivo legame con la propria storia che, seppur dolorosa, non viene mai rinnegata. A cos’altro rimanda il senso di sicurezza ritrovato fra i rami frondosi della pianta, se non al bisogno di un abbraccio primordiale sempre desiderato e mai ricevuto ma perciò ricercato, ahimé invano, in altre braccia femminili?

Al di fuori di ogni facile retorica del materno, Rosi Selo, mostra in maniera spietata, pur nella limpidezza del suo narrare, quanto male possa sortire l’amore negato ai figli e, viceversa, quanto questi siano sensibili verso ogni forma di attenzione affettuosa. In questa singolare odissea, il protagonista del viaggio stavolta ha un un volto di donna ma il mare, anziché sospingerla verso luoghi ignoti e nuove scoperte, le restituirà, inesorabili come una nemesi, gli incubi del passato. È con questi che Maria, ma ogni donna con lei, fa i conti: il che significa confrontarsi con l’ambiguità del potere generativo, col proprio vissuto di figlia e di madre, con le personalissime aspettative e le ansie più recondite rispetto alla maternità delle proprie figlie.

Il rischio è quello di rimanere avviluppata fra i rami dell’albero-madre ma c’è anche quello di perderli per sempre, questi rami-braccia rassicuranti o, peggio, di esserne stritolata e annichilita, fino a rinunciare alla procreazione. Oppure a sublimarla nella tenerezza. È la terza via del materno che Maria apprenderà, ironia della sorte, da Pupella, una poetica figura di prostituta innamorata, davanti alla quale le madri-virago sbiadiscono nell’opacità della loro incapacità di donarsi. “L’albero di mandarini si presenta a Villa Fiorentino, a Sorrento, mercoledì alle 19,30 per “Letture in villa”.