Potere dell’immaginazione, ricongiungimento della storia con l’utopia, sana italianità iscritta nella cifra europea. Cesare Zavattini, intellettuale, giornalista e sceneggiatore di oltre ottanta film, si distinse particolarmente nel campo dell’umorismo; un personaggio particolare, uno scrittore non facilmente inquadrabile nelle correnti letterarie del Novecento italiano, un anticonformista fuori dal coro.

Fin dalla sua prima pubblicazione, “Parliamo tanto di me” (Milano, Bompiani, 1931), Zavattini fu un autore decisamente critico verso la società, osservata in modo nuovo e originale tanto nei suoi aspetti drammatici quanto in quelli umoristici.

Ancora oggi, a centovent’anni dalla nascita, la sua attività di narratore, per lo più umoristico, satirico e ironico, presenta il rapporto vero tra realtà e fantasia, cercando di privilegiare la prima attraverso originali mediazioni con la seconda. Fu decisivo per l’evoluzione del suo talento l’innamoramento per il cinema, a cui dedicò tutte le sue energie in qualità di autore e sceneggiatore.

Il 1935 fu l’anno dell’incontro professionale tra Vittorio De Sica e Cesare Zavattini. Nel film di Mario Camerini “Darò un milione”, l’uno fu protagonista, l’altro soggettista. Da lì, per un trentennio realizzarono insieme una ventina di film, tra i quali capolavori del Neorealismo come “Sciuscià” (1946), “Ladri di biciclette” (1948), “Miracolo a Milano” (1951). Quest’ultimo, il cui testo era tratto da un racconto di Zavattini intitolato “Totò il buono”, era una storia ironica e fantastica in cui si racchiudeva, forse più che in altre opere narrative, il mondo poetico dell’autore.

Il romanzo, edito da Bompiani nel 1943, era lo sviluppo di un soggetto di tre pagine, scritto a quattro mani da Zavattini e Totò nel 1940. I due, che si stimavano e si ammiravano reciprocamente, si incontrarono il 19 agosto 1940 e insieme decisero di collaborare alla stesura del soggetto. La storia però non destò alcun interesse nei produttori, che erano perplessi di fronte a un racconto che aveva la struttura di una fiaba.

Lo stesso Totò, in verità, si dimostrò poco interessato a un progetto in fin dei conti sperimentale, che lo avrebbe allontanato da quell’immagine solida e affermata presso il grande pubblico, ossia quella figura burattinesca e surreale che si stava costruendo in quel periodo. Il soggetto percorse tutti gli anni Quaranta con altalenanti annunci e smentite di realizzazione del film.

Finalmente, nel 1951, in mano a De Sica, e con qualche cambiamento, venne girato con il titolo “Miracolo a Milano”, interpretato non più da Totò, per il quale era stato pensato, ma da Francesco Golisano. Questo film divenne la migliore espressione di De Sica, del suo affetto e della sua ammirazione per l’amico sceneggiatore.