Vincenzo Gemito fu un maestro del ritratto modellato e disegnato, e da qui scultore e pittore. Autodidatta e insofferente ai canoni accademici, preferì formare il suo gusto assorbendo dalla città, frequentando le chiese del centro storico di Napoli, e visitando continuamente il Museo Archeologico. La biografia di Gemito è però segnata da un terribile tracollo psicologico all’età di 35 anni, che si protrarrà per circa 20 anni. Sentì, per tutta la vita, il bisogno di approfondire lo studio dell’antico - trovando poi una sua strada - ed i personaggi da lui rappresentati quasi sempre erano presi dalla realtà e dalle sue conoscenze, ritenendo il “vero” una base per la sua opera: due caratteristiche che lo contraddistinsero costantemente. La statua del “Pescatore” - una delle prime sue sculture esposte ai Salons di Parigi - suscitò forti entusiasmi, ma anche scandalo, proprio per il suo crudo realismo. Fu l’unico artista italiano presente alle mostre degli Impressionisti e amico personale di Degas. Il critico Giulio Carlo Argan ha scritto di lui: «appariva molto meno interessato al pittorico ed al pittoresco della vita napoletana e più attento al museo... scartò tutto ciò che era annotazione, bozzetto, aneddoto, commento: si propose di scendere in profondità...». In grande anticipo sui tempi, distaccandosi dalle opere allora “di moda”, trovò un suo percorso con un disincanto che divenne poesia. Quindi bisogna abbandonare l’idea di un artista “lazzarone” che riprendeva prevalentemente i mille volti della Napoli folkloristica, molto conosciuti nella sua epoca. L’ opera di Gemito è il risultato di un’ osservazione dal vero del modello. Furono proprio i busti in bronzo di Verdi, Morelli, Boldini e Fortuny a sancire la sua affermazione nel panorama artistico nazionale ed europeo, oltre alla produzione su carta negli anni della maturità, dedicata ai volti dell’alta borghesia napoletana e romana. L’unica opera, totalmente estranea alla sua poetica, fu la statua di Carlo V per la facciata di Palazzo Reale a Napoli, che forse fu alla base della crisi psicologica: un monumento accademicamente all’antica, che creò notevoli difficoltà all’artista per la sua traduzione in marmo. Nelle sue opere si sposano leggerezza e rapidità del gesto, che tuttavia non sconfinarono in patetici verismi o bozzetti: fece “suo” il nuovo della poetica di un Degas o di un Medardo Rosso, che sicuramente vide a Parigi, così come riuscì a ben interpretare la “volumetria” delle opere di Rodin.

*presidente A.N.T.A.R.E.S. visitesguideesencampanie.com