La Magna Grecia al Mann: a maggio uno dei nuclei storici del Museo Archeologico di Napoli torna ad essere visibile in un nuovo allestimento nelle sale accanto al Salone della Meridiana. Il Roma ha visto in anteprima alcuni reperti, grazie ai quali i visitatori potranno ripercorrere il “mondo” della Magna Grecia attraverso alcuni grandi sentieri tematici, ad esempio, l’architettura, la religione e la pratica del banchetto. 
Il tema delle culture e del contatto sarà centrale nella comunicazione espositiva, cercando di mettere in evidenza le interrelazioni che ci sono state a partire dal VII secolo a.C. tra le varie popolazioni dell’Italia Meridionale.
Gli obiettivi principali di questa nuova iniziativa sono quelli di assicurare un programma di comunicazione chiaro, attraente e corretto rispetto ai contenuti e la ricostruzione di un’identità riconoscibile nelle forme e nell’immagine della rappresentazione.  Questi contatti e processi di trasformazione hanno contribuito a definire l’identità tipica della Magna Grecia.
La collezione fu iniziata grazie a William Hamilton ed alcuni acquisti progressivi, fino al 1885, quando venne arricchita enormemente dall’acquisto della collezione Sant’Angelo, possibile grazie all’intervento di Giuseppe Fiorelli.
Nei laboratori la responsabile della sezione di restauro della ceramica e la terracotta, l’archeologa Maria Teresa Operetto, mostra alcune opere in restauro. «Tra i maggiori nuclei espositivi risalta la presenza del materiale votivo di Locri, in particolare quello proveniente dal santuario in contrada Parapezza. Sono circa 800 vasi, - spiega la l’archeologa - che hanno retto bene al tempo e presentano già delle ricostruzioni formali in gesso. Ora stiamo cercando di riqualificarli e rivedere alcune scelte».
Da Locri provengono anche numerosi bronzi di eccezionale qualità artistica, uno dei prodotti più pregiati dell’artigianato magno-greco. 
Marina Vecchi, che si occupa della sezione bronzi, mostra un elmo calcidese con paragnatidi a forma di testa di ariete con occhi di avorio, databile agli ultimi decenni del VI sec a.C., un pezzo talmente raro che è stato ipotizzato potesse essere stato fabbricato in un’officina dell’Italia meridionale. 
Con molta probabilità fabbricato in Magna Grecia nonché uno degli oggetti più importanti anche un’hydria lavorata a sbalzo e a cesello decorata con testa di Gorgone degli inizi del V sec. a.C.
«Quando l’hydria è arrivata in laboratorio - spiega la Vecchi - aveva un restauro ottocentesco, molto mimetico e invasivo, che abbiamo dovuto smontare per operare secondo i criteri attuali, senza riprendere neanche i motivi decorativi, così da rendere visibile l’integrazione effettuata».
La storia insegna che è indivisibile e le archeologhe in sala restauro ci insegnano che la vera abilità è saper prendere il meglio dai popoli che ci precedono, come hanno fatto i Romani con i Greci, e i Greci con gli Etruschi e gli Etruschi dai primi fonditori dell’età del bronzo. «La storia è un susseguirsi di capacità umane, e vi assicuro – dice con fierezza Vecchi –  che da un punto di vista tecnologico non abbiamo inventato niente».